Ludwig Wittgenstein
Tractatus logico-philosophicus (italiano)
Traduzione di Michele Lavazza
Questa traduzione è stata condotta sul testo della seguente edizione tedesca: Ludwig Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, a cura di C. K. Ogden e F. P. Ramsey, Kegan Paul, Trench, Trubner & Co., 1922. Wittgenstein, disconoscendo l'edizione della Logisch-philosophische Abhandlung pubblicata nel 1921 da Wilhelm Ostwald nei suoi Annalen der Naturphilosophie, considerava quella di Ogden e Ramsey come la prima edizione della sua opera; ne corresse personalmente le bozze e collaborò con i curatori anche alla revisione della traduzione inglese di Ramsey. In virtù dell'autorevolezza che le deriva da questa vicenda editoriale, tale versione inglese è stata consultata anche ai fini della presente traduzione italiana. Le espressioni tra parentesi quadre presenti in questa edizione sono del traduttore: hanno lo scopo di chiarificare alcuni passaggi rendendo espliciti termini che il passaggio dal tedesco all'italiano, o la brevitas di Wittgenstein, avrebbero altrimenti lasciato impliciti. Il testo originale è nel pubblico dominio in tutti i paesi dove i diritti di proprietà intellettuale scadono 70 anni o meno dopo la morte dell'autore. Questa traduzione è pubblicata secondo i termini della licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo.
Ludwig Wittgenstein
Tractatus logico-philosophicus
Dedicato
alla memoria del mio amico
DAVID H. PINSENT
Kürnberger.
Prefazione
Forse comprenderà questo libro solo chi ha già pensato da sé i pensieri che vi sono espressi – o almeno pensieri simili. – Esso non è quindi un manuale. – Il suo scopo sarebbe raggiunto se desse piacere a chi, leggendolo, lo comprendesse.
Il libro tratta i problemi filosofici e mostra, credo, che la posizione di questi problemi nasce dal fraintendimento della logica del nostro linguaggio. Si potrebbe riassumere all'incirca l'intero senso del libro nelle parole: ciò che può essere detto può essere detto in modo chiaro; e di ciò di cui non si può parlare si deve tacere.
Il libro vuole quindi tracciare un limite al pensiero, o piuttosto – non al pensiero, ma all'espressione dei pensieri: poiché per tracciare un limite al pensiero dovremmo poter pensare entrambi i lati di questo limite (dovremmo cioè poter pensare ciò che non può essere pensato).
Il limite potrà così essere tracciato solo nel linguaggio, e ciò che si trova oltre il limite sarà semplicemente nonsenso.
Non voglio giudicare della misura in cui i miei sforzi coincidono con quelli di altri filosofi. Certo, ciò che ho scritto qui nel particolare non ha affatto la pretesa della novità; e se non cito alcuna fonte è perché mi è indifferente se qualcun altro ha già pensato, prima di me, ciò che ho pensato io.
Solo questo voglio menzionare: che sono in debito per una gran parte degli stimoli ai miei pensieri verso le grandiose opere di Frege e verso i lavori del mio amico Signor Bertrand Russell.
Se questo lavoro ha un valore, esso consiste in due cose. In primo luogo nel fatto che vi sono espressi pensieri, e questo valore sarà tanto maggiore quanto meglio i pensieri sono espressi. Quanto più si è colpito nel segno. – Qui sono consapevole di essere rimasto molto al di sotto del possibile. Semplicemente perché la mia forza è insufficiente per portare a termine il compito. – Possano altri venire e farlo meglio.
D'altro canto la verità dei pensieri qui esposti mi sembra incontrovertibile e definitiva. Sono così dell'opinione di aver risolto nell'essenziale i problemi una volta per tutte. E, se non mi sbaglio su questo punto, allora il valore di questo lavoro consiste in secondo luogo nel mostrare quanto poco si ottiene con l'essere questi problemi risolti.
L.W.
Vienna, 1918.
1 Il mondo è tutto ciò che si verifica.[1]
1.1 Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose.
1.11 Il mondo è determinato dai fatti e dal loro essere tutti i fatti.
1.12 Poiché la totalità dei fatti determina ciò che si verifica e anche tutto ciò che non si verifica.
1.13 I fatti nello spazio logico sono il mondo.
1.2 Il mondo si divide in fatti.
1.21 Qualcosa può verificarsi o non verificarsi e tutto il resto rimanere uguale.
2 Ciò che si verifica, il fatto, è il sussistere di stati di cose.
2.01 Lo stato di cose è un collegamento di oggetti (cose, entità).
2.011 È essenziale alla cosa poter essere parte costitutiva di uno stato di cose.
2.012 Nella logica niente è casuale: se la cosa può comparire nello stato di cose, allora la possibilità dello stato di cose dev'essere già implicata nella cosa.
2.0121 Sembrerebbe per così dire un caso se alla cosa, che di per sé potrebbe sussistere da sola, in seguito venisse adattato uno stato di cose.
Se le cose possono comparire negli stati di cose, allora questo deve già appartenere loro.
(Qualcosa di logico non può essere meramente possibile. La logica si occupa di ogni possibilità e tutte le possibilità sono i suoi fatti.)
Come non possiamo affatto rappresentarci oggetti spaziali al di fuori dello spazio, né temporali al di fuori del tempo, così non possiamo rappresentarci nessun oggetto al di fuori della possibilità del suo collegamento con altri.
Se posso rappresentarmi l'oggetto nel contesto dello stato di cose, allora non posso rappresentarmelo al di fuori della possibilità di questo contesto.
2.0122 La cosa è autosufficiente, nella misura in cui essa può comparire in tutti gli stati di cose possibili, ma questa forma di autosufficienza è una forma di connessione con lo stato di cose, una forma di non-autosufficienza. (È impossibile che le parole si presentino in due modi diversi, da sole e nella proposizione.)
2.0123 Se conosco l'oggetto, allora conosco anche tutte le possibilità del suo comparire in stati di cose.
(Ogni possibilità di questo genere deve appartenere alla natura dell'oggetto.)
Non si può scoprire in seguito una nuova possibilità.
2.01231 Per conoscere un oggetto non devo, certo, conoscere le sue proprietà esterne – ma devo conoscere tutte le sue proprietà interne.
2.0124 Se sono dati tutti gli oggetti, allora sono dati con ciò anche tutti i possibili stati di cose.
2.013 Ogni cosa è, per così dire, in uno spazio di stati di cose possibili. Posso rappresentarmi questo spazio vuoto, ma non la cosa senza lo spazio.
2.0131 L'oggetto spaziale deve trovarsi nello spazio infinito. (Il punto nello spazio è un posto per l'argomento [del predicato, della funzione].)
La macchia nel campo visivo non deve certo essere rossa, ma deve avere un colore: ha intorno a sé, in un certo senso, lo spazio dei colori. Il suono deve avere una altezza, l'oggetto del tatto una durezza ecc.
2.014 Gli oggetti contengono la possibilità di tutti gli stati di cose.
2.0141 La possibilità del suo comparire in stati di cose è la forma dell'oggetto.
2.02 L'oggetto è semplice.
2.0201 Ogni asserzione riguardante complessi può essere scomposta in una asserzione riguardante le loro parti costitutive e in quelle proposizioni che descrivono completamente i complessi.
2.021 Gli oggetti costituiscono la sostanza del mondo. Per questo non possono essere compositi.
2.0211 Se il mondo non avesse una sostanza, allora l'avere senso una proposizione dipenderebbe dall'essere vera un'altra proposizione.
2.0212 Sarebbe allora impossibile abbozzare un'immagine del mondo (non importa se vera o falsa).
2.022 È evidente che un mondo, per quanto diverso da quello reale venga concepito, deve avere qualcosa – una forma – in comune con il mondo reale.
2.023 Questa forma fissa consiste proprio degli oggetti.
2.0231 La sostanza del mondo può determinare soltanto una forma e nessuna proprietà materiale. Poiché queste proprietà si presentano solo attraverso le proposizioni – si costituiscono solo attraverso la configurazione degli oggetti.
2.0232 Detto incidentalmente: gli oggetti sono privi di colore.
2.0233 Due oggetti di forma logica uguale sono – a parte le loro proprietà esterne – distinti l'uno dall'altro solo dal loro essere diversi.
2.02331 O una cosa ha proprietà che nessun'altra ha, e allora si può senz'altro distinguerla dalle altre con una descrizione e indicarla; o invece vi sono più cose che hanno in comune tutte le loro proprietà, e allora è del tutto impossibile indicarne una tra le altre.
Poiché se la cosa non è individuata da niente, allora non posso individuarla, poiché altrimenti sarebbe appunto individuata.
2.024 La sostanza è ciò che sussiste indipendentemente da ciò che si verifica.
2.025 Essa è forma e contenuto.
2.0251 Spazio, tempo e colore (la proprietà dell'essere colorato) sono forme degli oggetti.
2.026 Solo se vi sono oggetti può esserci una forma fissa del mondo.
2.027 Ciò che è fisso, ciò che sussiste e l'oggetto sono uno.
2.0271 L'oggetto è ciò che è fisso, ciò che sussiste; la configurazione è ciò che è mutevole, instabile.
2.0272 La configurazione degli oggetti costituisce lo stato di cose.
2.03 Nello stato di cose gli oggetti sono connessi fra di loro, come gli anelli di una catena.
2.031 Nello stato di cose gli oggetti stanno in relazione l'uno con l'altro in modo determinato.
2.032 Il modo in cui gli oggetti sono reciprocamente connessi nello stato di cose è la struttura dello stato di cose.
2.033 La forma è la possibilità della struttura.
2.034 La struttura del fatto consiste delle strutture degli stati di cose.
2.04 La totalità degli stati di cose sussistenti è il mondo.
2.05 La totalità degli stati di cose sussistenti determina anche quali stati di cose non sussistono.
2.06 Il sussistere e il non-sussistere di stati di cose è la realtà.
(Il sussistere di stati di cose è da noi chiamato anche un fatto positivo, il non-sussistere un fatto negativo.)
2.061 Gli stati di cose sono indipendenti l'uno dall'altro.
2.062 Dal sussistere o non-sussistere di uno stato di cose non si possono trarre conclusioni circa il sussistere o non-sussistere di un altro.
2.063 La realtà nel suo complesso è il mondo.
2.1 Noi ci facciamo immagini dei fatti.
2.11 L'immagine rappresenta lo stato di cose nello spazio logico, il sussistere e non-sussistere degli stati cose.
2.12 L'immagine è un modello della realtà.
2.13 Agli oggetti corrispondono nell'immagine gli elementi dell'immagine.
2.131 Gli elementi dell'immagine stanno, nell'immagine, per gli oggetti.
2.14 L'immagine consiste nello stare in relazione l'uno con l'altro in modo determinato dei suoi elementi.
2.141 L'immagine è un fatto.
2.15 Lo stare in relazione l'uno con l'altro in modo determinato degli elementi dell'immagine rappresenta lo stare così in relazione l'una con l'altra delle cose.
Questa connessione degli elementi dell'immagine è chiamata la struttura dell'immagine e la possibilità di questa è chiamata la forma della raffigurazione dell'immagine.
2.151 La forma della raffigurazione è la possibilità che le cose stiano in relazione l'una con l'altra così come gli elementi dell'immagine.
2.1511 L'immagine è legata così alla realtà; essa raggiunge la realtà.
2.1512 L'immagine è come una misura applicata alla realtà.
2.15121 Solo i punti più esterni delle lineette di graduazione toccano l'oggetto da misurare.
2.1513 Secondo questa concezione, dunque, appartiene all'immagine anche la relazione raffigurativa che la rende un'immagine.
2.1514 La relazione raffigurativa consiste nelle coordinazioni degli elementi dell'immagine e delle cose.
2.1515 Queste coordinazioni sono, per così dire, le antenne degli elementi dell'immagine, con le quali l'immagine raggiunge la realtà.
2.16 Il fatto, per essere immagine, deve avere qualcosa in comune con il raffigurato.
2.161 Qualcosa dev'essere identico nell'immagine e nel raffigurato, affinché l'una possa essere un'immagine dell'altro.
2.17 Ciò che l'immagine deve avere in comune con la realtà per poterla raffigurare nel suo dato modo – corretto o errato – è la propria forma della raffigurazione.
2.171 L'immagine può raffigurare ogni realtà di cui ha la forma.
L'immagine spaziale tutto ciò che è spaziale, quella cromatica tutto ciò che è colorato, ecc.
2.172 L'immagine, tuttavia, non può raffigurare la propria forma della raffigurazione. Essa la esibisce.
2.173 L'immagine presenta il suo soggetto dall'esterno (il suo punto di vista è la sua forma della presentazione); perciò l'immagine presenta il suo soggetto in modo corretto o errato.
2.174 L'immagine non può tuttavia porsi al di fuori della sua forma della presentazione.
2.18 Ciò che ogni immagine, di qualunque forma, deve avere in comune con la realtà per poterla raffigurare – in modo corretto o errato – è la forma logica, cioè la forma della realtà.
2.181 Se la forma della raffigurazione è la forma logica, allora l'immagine è chiamata l'immagine logica.
2.182 Ogni immagine è anche un'immagine logica. (Per contro, non ogni immagine è ad es. un'immagine spaziale.)
2.19 L'immagine logica può raffigurare il mondo.
2.2 L'immagine ha in comune con il raffigurato la forma logica della raffigurazione.
2.201 L'immagine raffigura la realtà presentando una possibilità del sussistere e non-sussistere di stati di cose.
2.202 L'immagine presenta uno stato di cose possibile nello spazio logico.
2.203 L'immagine contiene la possibilità dello stato di cose che presenta.
2.21 L'immagine corrisponde alla realtà o no; è esatta o inesatta, vera o falsa.
2.22 L'immagine presenta ciò che presenta, indipendentemente dalla sua verità o falsità, attraverso la forma della raffigurazione.
2.221 Ciò che l'immagine presenta è il suo senso.
2.222 La sua verità o falsità sta nell'accordo o non-accordo del suo senso con la realtà.
2.223 Per stabilire se l'immagine è vera o falsa dobbiamo paragonarla con la realtà.
2.224 Dall'immagine da sola non si stabilisce se essa sia vera o falsa.
2.225 Non vi è un'immagine vera a priori.
3L'immagine logica dei fatti è il pensiero.
3.001«Uno stato di cose è pensabile» vuol dire: possiamo farci un'immagine di esso.
3.01La totalità dei pensieri veri è un'immagine del mondo.
3.02Il pensiero contiene la possibilità degli stati di cose che pensa. Ciò che è pensabile, è anche possibile.
3.03Non possiamo pensare niente di illogico, perché altrimenti dovremmo pensare illogicamente.
3.031Si diceva un tempo che Dio può creare tutto, tranne solo ciò che è contrario alle leggi logiche. – Noi in effetti non potremmo dire, di un mondo «illogico», che aspetto avrebbe.
3.032Presentare nel linguaggio qualcosa «che contraddice la logica» è tanto impossibile quanto presentare nella geometria, attraverso le sue coordinate, una figura che contraddice le leggi dello spazio; oppure indicare le coordinate di un punto che non esiste.
3.0321Possiamo ben presentare spazialmente uno stato di cose che vada contro le leggi della fisica, ma non uno che vada contro le leggi della geometria.
3.04Un pensiero corretto a priori sarebbe un pensiero tale che la sua possibilità implicasse la sua verità.
3.05Potremmo sapere a priori che un pensiero è vero solo se la sua verità si riconoscesse dal pensiero stesso (senza un termine di paragone).
3.1Nella proposizione il pensiero si esprime in modo percepibile sensibilmente.
3.11Utilizziamo il segno percepibile sensibilmente (segno vocale o grafico ecc.) della proposizione come proiezione dello stato di cose possibile.
Il metodo di proiezione è il pensare il senso della proposizione.
3.12Chiamo il segno attraverso il quale esprimiamo il pensiero il segno proposizionale. E la proposizione è il segno proposizionale nella sua relazione proiettiva con il mondo.
3.13Alla proposizione appartiene tutto ciò che appartiene alla proiezione; ma non il proiettato.
Quindi la possibilità di ciò che è proiettato, ma non ciò che è proiettato.
Nella proposizione, dunque, non è ancora contenuto il suo senso, ma vi è contenuta la possibilità di esprimerlo.
(«Il contenuto della proposizione» vuol dire il contenuto della proposizione dotata di senso.)
Nella proposizione è contenuta la forma del suo senso, ma non il suo contenuto.
3.14Il segno proposizionale consiste nello stare in relazione l'uno con l'altro in modo determinato dei suoi elementi, le parole.
Il segno proposizionale è un fatto.
3.141La proposizione non è un miscuglio di parole. – (Come il tema musicale non è un miscuglio di suoni.)
La proposizione è articolata.
3.142Solo i fatti possono esprimere un senso; una classe di nomi non può.
3.143Che il segno proposizionale sia un fatto viene occultato dall'abituale forma espressiva della scrittura o della stampa.
Infatti nella proposizione stampata, ad es., il segno proposizionale non sembra essenzialmente diverso dalla parola.
(Per questo Frege ha potuto chiamare la proposizione un nome composto.)
3.1431L'essenza del segno proposizionale diventa molto chiara se ce lo rappresentiamo come composto, anziché da segni grafici, da oggetti spaziali (come tavoli, sedie, libri).
La reciproca posizione spaziale di queste cose esprime allora il senso della proposizione.
3.1432Non «il segno complesso “a R b” dice che a sta nella relazione R con b», bensì che «a» sta in una certa relazione con «b» dice che a R b.
3.144Si possono descrivere gli stati di cose, non nominarli.
(I nomi assomigliano a punti, le proposizioni a frecce: esse hanno senso.)
3.2Nella proposizione il pensiero può essere espresso in modo tale che gli elementi del segno proposizionale corrispondano agli oggetti del pensiero.
3.201Chiamo questi elementi «segni semplici» e la proposizione «completamente analizzata».
3.202I segni semplici usati nella proposizione si chiamano nomi.
3.203Il nome significa l'oggetto. L'oggetto è il suo significato. («A» è lo stesso segno che «A».)
3.21Alla configurazione dei segni semplici nel segno proposizionale corrisponde la configurazione degli oggetti nello stato di cose.
3.22Il nome sta, nella proposizione, per l'oggetto.
3.221Posso solo nominare gli oggetti. I segni stanno per essi. Posso solo parlare di essi, non posso asserirli. Una proposizione può dire solo come uno oggetto è, non cosa è.
3.23Il requisito della possibilità dei segni semplici è il requisito della determinatezza del senso.
3.24La proposizione che tratta di un complesso è in una relazione interna con la proposizione che tratta di una parte costituente del complesso.
Il complesso può essere dato solo attraverso la sua descrizione, e questa sarà esatta o non esatta. La proposizione nella quale si parla di un complesso non sarà, se questo non esiste, insensata, ma semplicemente falsa.
Che un elemento della proposizione designi un complesso si può vedere da un'indeterminatezza nelle proposizioni in cui tale elemento compare. Noi sappiamo che questa proposizione non determina ancora tutto. (La designazione della generalità contiene un archetipo.)
La sintesi del simbolo di un complesso in un simbolo semplice può essere espressa da una definizione.
3.25Vi è una e una sola analisi completa della proposizione.
3.251La proposizione esprime ciò che esprime in modi determinati, suscettibili di essere indicati chiaramente: la proposizione è articolata.
3.26Il nome non può essere scomposto per mezzo di alcuna ulteriore definizione: esso è un segno primitivo.
3.261Ogni segno definito designa attraverso quel segno da cui viene definito; e le definizioni mostrano la via.
Due segni, un segno primitivo e uno definito attraverso segni primitivi, non possono designare nello stesso modo. Non si possono dissezionare i nomi attraverso definizioni. (Né alcun segno che da solo e in modo indipendente ha un significato.)
3.262Ciò che nei segni non giunge a espressione viene mostrato dal loro uso. Ciò che i segni nascondono è enunciato dal loro uso.
3.263I significati dei segni primitivi possono essere chiariti attraverso spiegazioni. Le spiegazioni sono proposizioni che contengono i segni primitivi. Dunque possono essere comprese solo se i significati di questi segni sono già conosciuti.
3.3Solo la proposizione ha senso; solo nel contesto della proposizione un nome ha significato.
3.31Chiamo ogni parte della proposizione che caratterizza il suo senso un'espressione (un simbolo).
(La proposizione stessa è un'espressione.)
È espressione tutto ciò di essenziale per il senso della proposizione che le proposizioni possono avere in comune tra di loro.
L'espressione caratterizza una forma e un contenuto.
3.311L'espressione presuppone le forme di tutte le proposizioni in cui può comparire. Essa è il tratto caratteristico comune di una classe di proposizioni.
3.312Essa è dunque presentata dalla forma generale delle proposizioni che essa caratterizza.
Infatti in questa forma l'espressione sarà costante, e tutto il resto variabile.
3.313L'espressione è quindi presentata da una variabile i cui valori sono le proposizioni che contengono l'espressione.
(Nel caso limite le variabili divengono costanti, l'espressione diviene proposizione.)
Chiamo una tale variabile «variabile proposizionale».
3.314L'espressione ha significato solo nella proposizione. Ogni variabile può essere intesa come variabile proposizionale.
(Incluso il nome variabile.)
3.315Se trasformiamo una parte costitutiva di una proposizione in una variabile, otteniamo una classe di proposizioni che costituiscono tutti i valori della proposizione variabile così ottenuta. Questa classe dipende ancora, in generale, da ciò che noi intendiamo, per convenzione arbitraria, mediante le parti di quella proposizione. Se però trasformiamo in variabili tutti quei segni il cui significato è determinato arbitrariamente, otteniamo ancora e sempre una tale classe. Questa, tuttavia, non dipende più da alcuna convenzione, ma solo dalla natura della proposizione. Essa corrisponde a una forma logica – a un archetipo logico.
3.316Quali valori sia possibile assumere per la variabile proposizionale è qualcosa che viene fissato.
La fissazione dei valori è la variabile.
3.317La fissazione dei valori delle variabili proposizionali è l'indicazione delle proposizioni il cui tratto comune è la variabile.
La fissazione è una descrizione di queste proposizioni.
La fissazione quindi tratterà solo di simboli, non del loro significato.
E solo questo è essenziale a tale fissazione: che essa è solo una descrizione di simboli e non dice niente sul simbolizzato.
Come avviene la descrizione delle proposizioni è inessenziale.
3.318Intendo la proposizione – come Frege e Russell – come funzione delle espressioni in essa contenute.
3.32Il segno è ciò che nel simbolo è percepibile sensibilmente.
3.321Due simboli diversi possono quindi avere il segno in comune tra loro (segno grafico o segno vocale ecc.) – essi simbolizzano allora in modo diverso.
3.322Che noi li simbolizziamo con lo stesso segno ma con due diversi modi di simbolizzazione non può mai indicare il tratto comune di due oggetti. Il segno, infatti, è arbitrario. Si potrebbero quindi anche scegliere due segni diversi, e allora che ne sarebbe di ciò che vi è in comune nella simbolizzazione?
3.323Nel linguaggio comune capita spessissimo che la stessa parola simbolizzi in diversi modi – che dunque appartenga a diversi simboli – o che due parole che simbolizzano in modi diversi vengano impiegate in modo esteriormente identico nella proposizione.
Così la parola «è» compare come copula, come segno di identità e come espressione dell'esistenza; «esistere» come verbo intransitivo alla stessa stregua di «andare»; «identico» come aggettivo; parliamo di un qualcosa, ma anche dell'accadere di qualcosa.
(Nella proposizione «Rosa è rosa» – dove la prima parola è un nome di persona, l’ultima un aggettivo – queste parole non hanno semplicemente diverso significato, ma sono simboli diversi.)
3.324Così nascono facilmente gli equivoci più fondamentali (dei quali tutta la filosofia è piena).
3.325Per sottrarci a questi errori dobbiamo impiegare un linguaggio segnico che li esclude, non impiegando lo stesso segno in simboli diversi e non impiegando esteriormente nello stesso modo segni che simbolizzano in modo diverso. Un linguaggio segnico, dunque, che obbedisce alla grammatica logica – la sintassi logica.
(L'ideografia di Frege e Russell è un tale linguaggio, che tuttavia non esclude ancora tutti gli errori.)
3.326Per riconoscere il simbolo nel segno bisogna prenderne in considerazione l'uso dotato di senso.
3.327Solo insieme con la sua applicazione logico-sintattica il segno determina una forma logica.
3.328Se un segno non viene usato, allora è privo di significato. Questo è il senso del rasoio di Occam.
(Se tutto sta come se un segno avesse significato, allora esso ha significato.)
3.33Nella sintassi logica il significato di un segno non può mai avere un ruolo; esso deve poter essere stabilito senza che in ciò si parli del significato di un segno; esso può presupporre solo la descrizione delle espressioni.
3.331A partire da questa osservazione volgiamo lo sguardo alla «theory of types» di Russell: l'errore di Russell si mostra nella necessità in cui egli si è trovato, al momento di stabilire le regole relative ai segni, di parlare del significato dei segni.
3.332Nessuna proposizione può enunciare qualcosa su se stessa, poiché il segno proposizionale non può essere contenuto in sé stesso (questa è l'intera «theory of types»).
3.333Una funzione, quindi, non può essere il proprio stesso argomento, poiché il segno di funzione contiene già l'archetipo del suo argomento e non può contenere se stesso.
Assumiamo infatti che la funzione F (f x) possa essere il proprio stesso argomento; allora si darebbe una proposizione «F (F (f x))», ma in questa la funzione F esterna e la funzione F interna devono avere significati diversi, poiché quella interna ha la forma φ(f x), quella esterna la forma ψ(φ(f x)). In comune a entrambe le funzioni vi è solo la lettera «F», che però da sola non simbolizza niente.
Questo diventa subito chiaro se anziché «F (F (u))» scriviamo «(∃φ) : F (φu) . φu = F u».
Con ciò si risolve il paradosso di Russell.
3.334Le regole della sintassi logica devono comprendersi da sé, purché si sappia come ogni dato segno designa.
3.34La proposizione possiede tratti essenziali e accidentali.
Accidentali sono i tratti che derivano dal particolare modo in cui viene prodotto il segno proposizionale. Essenziali quelli senza i quali la proposizione non sarebbe capace di esprimere il suo senso.
3.341L'essenziale nella proposizione è dunque ciò che è comune a tutte le proposizioni che possono esprimere lo stesso senso.
E allo stesso modo, in generale, l'essenziale nel simbolo è ciò che hanno in comune tutti i simboli che possono assolvere lo stesso scopo.
3.3411Si potrebbe quindi dire: il nome, propriamente, è ciò che tutti i simboli che designano l'oggetto hanno in comune. Si rivelerebbe così gradualmente che nessuna composizione è minimamente essenziale per il nome.
3.342Nelle nostre notazioni qualcosa è, certo, arbitrario, ma questo non è arbitrario: che se abbiamo determinato qualcosa arbitrariamente, allora qualcosa d'altro deve verificarsi. (Questo dipende dall'essenza della notazione.)
3.3421Un particolare modo di designazione può non essere importante, ma è sempre importante che esso sia un possibile modo di designazione. E così stanno le cose nella filosofia in generale: l'individuo si rivela sempre di nuovo non importante, ma la possibilità di ogni individuo ci rivela qualcosa sull'essenza del mondo.
3.343Le definizioni sono regole per la traduzione di un linguaggio in un altro. Ogni linguaggio segnico corretto deve poter essere tradotto in ogni altro secondo tali regole: questo è ciò che essi hanno tutti in comune.
3.344Ciò che nel simbolo designa è ciò che vi è di comune in tutti quei simboli con cui esso può essere sostituito secondo le regole della sintassi logica.
3.3441Si può ad es. esprimere così ciò che vi è di comune in tutte le notazioni per le funzioni di verità: a esse è comune il poter essere tutte sostituite – ad es. – dalla notazione di «~p» («non p») e «p ∨ q» («p o q»).
(Ecco il modo in cui una particolare notazione possibile può rivelarci qualcosa di generale.)
3.3442Anche il segno del complesso si risolve tramite l'analisi in modo non arbitrario, cosicché la sua scomposizione sarebbe diversa per ogni struttura della proposizione.
3.4La proposizione determina un luogo nello spazio logico. L'esistenza di questo luogo logico non è garantita che dall'esistenza delle parti costituenti, dall'esistenza della proposizione dotata di senso.
3.41Il segno proposizionale e le coordinate logiche: questo è il luogo logico.
3.411Il luogo geometrico e quello logico corrispondono in quanto sono entrambi la possibilità di un'esistenza.
3.42Benché la proposizione possa determinare solo un luogo dello spazio logico, con essa dev'essere già dato l'intero spazio logico.
(Altrimenti con la negazione, la somma logica, il prodotto logico ecc. verrebbero introdotti sempre nuovi elementi – in coordinazione.)
(L'impalcatura logica intorno all'immagine determina lo spazio logico. La proposizione attraversa tutto lo spazio logico.)
3.5Il segno proposizionale applicato, pensato, è il pensiero.
4Il pensiero è la proposizione dotata di senso.
4.001La totalità delle proposizioni è il linguaggio.
4.002L'uomo possiede la capacità di costruire linguaggi, mediante i quali può essere espresso qualsiasi senso, senza avere un'idea di come e cosa ogni parola significa. – Così come si parla senza sapere come sono prodotti i singoli suoni.
Il linguaggio comune è una parte dell'organismo umano e non è meno complicato di quest'ultimo.
È umanamente impossibile dedurne in modo immediato la logica del linguaggio.
Il linguaggio traveste il pensiero. Di modo che non si può concludere dalla forma esteriore del vestito alla forma del pensiero sotto il vestito; perché la forma esteriore del vestito è fatta per tutt'altri scopi che quello di permettere di riconoscere la forma del corpo.
Gli accordi taciti per la comprensione del linguaggio comune sono enormemente complessi.
4.003Le tesi e le domande su cose filosofiche che sono state messe per iscritto sono per la maggior parte non false, ma insensate. Perciò non possiamo affatto rispondere a domande di tal sorta, ma solo stabilire la loro insensatezza. Le domande e le proposizioni dei filosofi nascono per la maggior parte dall'incomprensione della logica del nostro linguaggio.
(Esse sono domande dello stesso tipo di quella se il buono sia o meno lo stesso che il bello.)
E non è stupefacente che i problemi più profondi propriamente non siano problemi.
4.0031Tutta la filosofia è «critica del linguaggio». (Non tuttavia nel senso di Mauthner.) È merito di Russell aver mostrato che la forma logica apparente della proposizione può non essere la sua forma logica reale.
4.01La proposizione è un'immagine della realtà.
La proposizione è un modello della realtà così come ce la rappresentiamo.
4.011A prima vista la proposizione – come essa per esempio sta stampata sulla carta – non sembra essere un'immagine della realtà di cui tratta. Ma anche la notazione musicale a prima vista non sembra essere un'immagine della musica, e la nostra notazione fonetica o alfabetica non sembra essere un'immagine del nostro linguaggio vocale.
E tuttavia questi linguaggi segnici si rivelano, anche nel senso abituale, come immagini di ciò che presentano.
4.012È evidente che percepiamo una proposizione della forma «a R b» come immagine. Qui il segno è evidentemente qualcosa di rassomigliante al designato.
4.013E se penetriamo nell'essenziale di questa natura figurativa vediamo che essa non viene compromessa da apparenti irregolarità (come l'impiego del ♯ e del ♭ nella notazione musicale).
Poiché anche queste irregolarità raffigurano ciò che devono esprimere; solo in modo diverso.
4.014Il disco del grammofono, il pensiero musicale, la notazione musicale, le onde sonore stanno tutti tra di loro in quella relazione interna di raffigurazione che sussiste tra linguaggio e mondo.
A tutti è comune la costruzione logica.
(Come nella fiaba i due giovani, i loro due cavalli e i loro gigli. Essi sono tutti in un certo senso uno.)
4.0141Che vi sia una regola generale mediante la quale il musicista può trarre la sinfonia dalla partitura, e che ve ne sia una mediante la quale si può trarre dal solco del disco per il grammofono la sinfonia e poi, secondo la prima regola, di nuovo dedurre la partitura – in questo appunto consiste la somiglianza interna di queste forme apparentemente così diverse. E questa regola è la legge della proiezione che proietta la sinfonia nel linguaggio della notazione musicale. È la regola della traduzione del linguaggio della notazione musicale nel linguaggio del disco del grammofono.
4.015La possibilità di tutte le immagini, di tutta la natura figurativa del nostro modo di espressione, risiede nella logica della raffigurazione.
4.016Per comprendere l'essenza della proposizione, pensiamo alla scrittura geroglifica, che raffigura i fatti che descrive.
E da essa si è sviluppata la scrittura alfabetica, senza che l'essenziale della raffigurazione andasse perso.
4.02Lo vediamo da questo: che comprendiamo il senso del segno proposizionale senza che esso ci sia stato spiegato.
4.021La proposizione è un'immagine della realtà: poiché se comprendo la proposizione conosco lo stato di cose da essa presentato. E comprendo la proposizione senza che il suo senso mi sia stato spiegato.
4.022La proposizione mostra il suo senso.
La proposizione mostra come le cose stanno se è vera. E dice che stanno così.
4.023La realtà deve essere fissata mediante la proposizione per il sì o per il no.
A questo scopo la realtà deve essere descritta completamente dalla proposizione.
La proposizione è la descrizione di uno stato di cose.
Come la descrizione di un oggetto lo descrive secondo le sue proprietà esterne, così la proposizione descrive la realtà secondo le sue proprietà interne.
La proposizione costruisce un mondo con l'aiuto di un'impalcatura logica, e perciò dalla proposizione si può anche vedere come sta tutto ciò che logicamente ne consegue se essa è vera. Si possono trarre conclusioni da una proposizione falsa.
4.024Comprendere una proposizione vuol dire sapere cosa accade se essa è vera.
(La si può quindi comprendere senza sapere se è vera.)
La si comprende quando si comprendono le sue parti costituenti.
4.025La traduzione di un linguaggio in un altro non procede traducendo ogni proposizione dell'uno in una proposizione dell'altro; bensì vengono tradotte solo le parti costituenti.
(E il vocabolario non traduce solo i sostantivi, ma anche verbi, aggettivi, congiunzioni ecc.; e li tratta tutti allo stesso modo.)
4.026I significati dei segni semplici (delle parole) devono esserci spiegati affinché li comprendiamo.
Con le proposizioni invece ci spieghiamo.
4.027Fa parte dell'essenza della proposizione che essa possa comunicarci un senso nuovo.
4.03Una proposizione deve comunicare un senso nuovo con vecchie espressioni.
La proposizione ci comunica uno stato di cose; quindi dev'essere essenzialmente connessa con lo stato di cose.
E la connessione consiste appunto in questo: che la proposizione è l'immagine logica dello stato di cose.
La proposizione asserisce qualcosa solo in quanto è un'immagine.
4.031Nella proposizione uno stato di cose viene, per dir così, messo insieme a titolo di prova.
Si potrebbe addirittura dire, invece che «questa proposizione ha questo e questo senso», «questa proposizione presenta questo e questo stato di cose».
4.0311Se un nome sta per una cosa, un altro per un'altra cosa ed essi sono collegati l'uno all'altro, allora l'insieme – come un tableau vivant – rappresenta lo stato di cose.
4.0312La possibilità della proposizione riposa sul principio che i segni stanno per gli oggetti.
Il mio pensiero fondamentale è che le «costanti logiche» non stanno per alcunché. Che niente può stare per la logica dei fatti.
4.032La proposizione è un'immagine di uno stato di cose solo in quanto essa è logicamente organizzata.
(Anche la proposizione «ambulo» è composta, poiché la sua radice dà un altro senso con un'altra desinenza, e la sua desinenza con un'altra radice.)
4.04Nella proposizione dev'essere differenziato esattamente tanto quanto è differenziato nello stato di cose che essa presenta.
Entrambi devono possedere la stessa molteplicità logica (matematica). (Vedi la Meccanica di Hertz a proposito dei modelli dinamici.)
4.041Questa stessa molteplicità matematica non si può, naturalmente, raffigurare a sua volta. Da essa non si può uscire finché si raffigura.
4.0411Se volessimo ad es. esprimere ciò che esprimiamo attraverso «(x).f x» attraverso l'anteposizione di un indice a «f x» – ad es. così: «gen. f x» – ciò non sarebbe sufficiente – non sapremmo che cosa viene generalizzato. Se volessimo indicarlo attraverso un indice «g» – ad es. così: «f (xg)» – anche ciò non sarebbe sufficiente – non conosceremmo l'estensione del segno di generalità.
Se volessimo cercare di farlo attraverso l'introduzione di un indice nei posti per l'argomento – per esempio così: «(G, G) . F (G, G)» – ciò non sarebbe sufficiente – non potremmo stabilire l'identità delle variabili. E così via.
Tutti questi modi di designazione non sono sufficienti perché essi non hanno la necessaria molteplicità matematica.
4.0412Per la stessa ragione la spiegazione idealistica della visione delle relazioni spaziali attraverso gli «occhiali spaziali» non è sufficiente, poiché essa non riesce a spiegare la molteplicità di queste relazioni.
4.05La realtà viene confrontata con la proposizione.
4.06La proposizione può essere vera o falsa solo essendo un'immagine della realtà.
4.061Se non si considera che la proposizione ha un senso indipendente dai fatti, allora si può facilmente credere che vero e falso siano relazioni tra segno e designato a eguale titolo.
Allora si potrebbe dire ad es. che «p» designa in modo vero ciò che «~p» designa in modo falso, ecc.
4.062Si può comunicare con proposizioni false, come finora si è fatto con proposizioni vere? Purché si sappia che esse sono intese come false. No! Poiché una proposizione è vera quando le cose stanno come noi diciamo attraverso essa; e se con «p» intendiamo ~p e le cose stanno come noi intendiamo, allora «p» nella nuova concezione è vera, e non falsa.
4.0621È però importante che il segno «p» e «~p» possano dire lo stesso. Poiché ciò mostra che al segno «~» non corrisponde niente nella realtà.
Che in una proposizione compaia la negazione non è ancora un'indicazione del suo senso (~~p = p).
Le proposizioni «p» e «~p» hanno senso contraddittorio, ma corrisponde loro una e la stessa realtà.
4.063Un'immagine per spiegare il concetto di verità: macchia nera su carta bianca; la forma della macchia si può descrivere dichiarando per ogni punto della superficie se esso è bianco o nero. Al fatto che un punto sia nero corrisponde un fatto positivo, al fatto che un punto sia bianco (non nero) un fatto negativo. Se indico un punto della superficie (un valore di verità, nei termini di Frege), questo corrisponde all'assunzione che viene offerta al giudizio, ecc. ecc.
Tuttavia per poter dire che un punto è nero o bianco devo prima sapere quando un punto si chiama nero e quando lo si chiama bianco; per poter dire che «p» è vera (o falsa) devo aver determinato in quali circostanze chiamo «p» vera, e così facendo determino il senso della proposizione.
Ora, il punto in cui la similitudine zoppica è questo: possiamo indicare un punto del foglio anche senza sapere che cosa è bianco e cosa nero; a una proposizione senza senso però non corrisponde proprio niente, poiché essa non designa alcuna cosa (valore di verità) le cui proprietà si chiamino per esempio «falso» o «vero»; il verbo di una proposizione non è – come credeva Frege – «è vero» o «è falso», bensì ciò che «è vero» deve già contenere il verbo.
4.064Ogni proposizione deve già avere un senso; l'affermazione non può darglielo, poiché essa afferma appunto il senso. E lo stesso vale per la negazione, ecc.
4.0641Si potrebbe dire: la negazione è già correlata al luogo logico che la proposizione negata determina.
La proposizione che nega determina un altro luogo logico rispetto alla proposizione negata.
La proposizione che nega determina un luogo logico con l'aiuto del luogo logico della proposizione negata, descrivendo il primo come collocato al di fuori del secondo.
Che si possa negare di nuovo la proposizione negata basta per mostrare che ciò che viene negato è già una proposizione, e non solo la bozza di una proposizione.
4.1La proposizione [rap]presenta il sussistere e non-sussistere degli stati di cose.
4.11La totalità delle proposizioni vere è l'intera scienza della natura (o la totalità delle scienze della natura).
4.111La filosofia non è una delle scienze della natura.
(La parola «filosofia» deve significare qualcosa che sta sopra o sotto, ma non accanto, alle scienze della natura.)
4.112Lo scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri.
La filosofia non è una teoria, ma un'attività.
Un'opera filosofica consiste essenzialmente di chiarificazioni.
La filosofia non dà come risultato «proposizioni filosofiche», ma il chiarificarsi di proposizioni.
La filosofia deve rendere chiari pensieri che altrimenti sono, per così dire, nebulosi e sfocati, e delimitarli precisamente.
4.1121La psicologia non è imparentata con la filosofia più di qualsiasi altra scienza della natura.
La teoria della conoscenza è la filosofia della psicologia.
Il mio studio dei linguaggi segnici non corrisponde allo studio dei processi di pensiero, che i filosofi consideravano così essenziale per la filosofia della logica? Solamente, essi si impelagarono perlopiù in ricerche psicologiche inessenziali, e vi è un pericolo analogo anche per il mio metodo.
4.1122La teoria darwiniana non ha a che fare con la filosofia più di ogni altra ipotesi della scienza naturale.
4.113La filosofia delimita l'area [di ciò che è] problematizzabile [da parte] della scienza naturale.
4.114Essa deve circoscrivere il pensabile e, con ciò, l'impensabile.
Deve delimitare l'impensabile dall'interno, attraverso il pensabile.
4.115Essa significherà l'indicibile presentando chiaramente il dicibile.
4.116Tutto ciò che può essere affatto pensato può essere pensato chiaramente. Tutto ciò che può essere detto può essere detto chiaramente.
4.12La proposizione può presentare l'intera realtà, ma non può presentare ciò che essa deve avere in comune con la realtà per poterla presentare – la forma logica.
Per poter presentare la forma logica dovremmo poterci porre con la proposizione al di fuori della logica, cioè al di fuori del mondo.
4.121La proposizione non può presentare la forma logica; questa si rispecchia nella proposizione.
Ciò che si rispecchia nel linguaggio non può essere presentato dal linguaggio.
Ciò che si esprime nel linguaggio non può essere espresso da noi mediante il linguaggio.
La proposizione mostra la forma logica della realtà.
La esibisce.
4.1211Così una proposizione «f a» mostra che nel suo senso compare l'oggetto a; due proposizioni «f a» e «g a» che in entrambe si parla dello stesso oggetto.
Se due proposizioni si contraddicono a vicenda, questo è mostrato dalla loro struttura; lo stesso se esse seguono una dall'altra. E così via.
4.1212Ciò che può essere mostrato non può essere detto.
4.1213Ora comprendiamo anche questo nostro sentimento: che saremmo in possesso di una concezione logica corretta se solo nel nostro linguaggio segnico tutto funzionasse.
4.122Possiamo parlare, in un certo senso, di proprietà formali degli oggetti e degli stati di cose, ovvero di proprietà della struttura dei fatti, e, nello stesso senso, di relazioni formali e di relazioni di strutture.
(Anziché «proprietà della struttura» dico anche «proprietà interna»; anziché «relazione delle strutture», «relazione interna».
Introduco queste espressioni per mostrare la ragione della confusione, molto comune tra i filosofi, tra le relazioni interne e le relazioni vere e proprie (esterne).)
Il sussistere di certe proprietà e relazioni interne non può tuttavia essere asserito mediante proposizioni; esso si mostra invece nelle proposizioni che presentano quegli stati di cose e vertono su quegli oggetti.
4.1221Una proprietà interna di un fatto può anche essere chiamata un tratto di questo fatto. (Nel senso in cui parliamo per esempio di tratti di un viso.)
4.123Una proprietà è interna se è impensabile che il suo oggetto non la possieda.
(Questo colore blu e quello stanno eo ipso nella relazione interna di più chiaro e più scuro. È impensabile che questi due oggetti non stiano in questa relazione.)
(Qui all'uso oscillante delle parole «proprietà» e «relazione» corrisponde l'uso oscillante della parola «oggetto».)
4.124Il sussistere di una proprietà interna di uno stato di cose possibile non viene espresso attraverso una proposizione, bensì si esprime nella proposizione che presenta lo stato di cose attraverso una proprietà interna di questa proposizione.
Affermare che la proposizione ha una proprietà formale sarebbe tanto insensato quanto negarlo.
4.1241Non si possono distinguere le forme una dall'altra dicendo che questa ha questa proprietà, l'altra invece quella; poiché ciò presuppone che abbia un senso affermare entrambe le proprietà di entrambe le forme.
4.125Il sussistere di una relazione interna tra stati di cose possibili si esprime linguisticamente attraverso una relazione interna tra le proposizioni che li presentano.
4.1251Qui si risolve la disputa «se tutte le relazioni siano interne o esterne».
4.1252Chiamo serie formali quelle serie che sono ordinate attraverso relazioni interne.
La serie dei numeri non è ordinata secondo una relazione esterna, ma secondo una relazione interna.
Analogamente la serie delle proposizioni
- «a R b»,
- «(∃x) : a R x . x R b»,
- «(∃x, y) : a R x . x R y . y R b», e così di seguito.
(Se b sta in una di queste relazioni ad a, allora chiamo b un successore di a.)
4.126Nel senso in cui parliamo di proprietà formali possiamo ora parlare anche di concetti formali.
(Introduco questa espressione per rendere chiara la ragione della confusione dei concetti logici con i concetti veri e propri, la quale attraversa tutta la vecchia logica.)
Che qualcosa cada sotto un concetto formale come suo oggetto non può essere espresso mediante una proposizione. Ciò si mostra invece nel segno di questo oggetto stesso. (Il nome mostra di designare un oggetto, il segno numerico di designare un numero ecc.)
I concetti formali non possono essere presentati, come i concetti veri e propri, attraverso una funzione.
Poiché i loro caratteri, le proprietà formali, non vengono espressi attraverso funzioni.
L'espressione della proprietà formale è un tratto di certi simboli.
Il segno dei caratteri di un concetto formale è quindi un tratto distintivo di tutti i simboli i cui significati cadono sotto il concetto.
L'espressione del concetto formale dunque è una variabile proposizionale in cui solo questo tratto caratteristico è costante.
4.127La variabile proposizionale designa il concetto formale e i suoi valori gli oggetti che cadono sotto questo concetto.
4.1271Ogni variabile è il segno di un concetto formale.
Ogni variabile infatti presenta una forma costante che tutti i suoi valori possiedono, e che può essere considerata una proprietà formale di questi valori.
4.1272Perciò il nome variabile «x» è il segno proprio dello pseudo-concetto oggetto.
Ovunque la parola «oggetto» («cosa», «entità», ecc.) viene impiegata correttamente, essa nell'ideografia viene espressa attraverso il nome variabile.
Per esempio nella proposizione «vi sono 2 oggetti che…» attraverso «(∃x, y)…».
Ovunque viene impiegata diversamente, cioè come parola che indica un concetto vero e proprio, si originano pseudo-proposizioni insensate.
Così ad es. non si può dire «vi sono oggetti» come si dice «vi sono libri». E allo stesso modo non si può dire «vi sono 100 oggetti» o «vi sono oggetti». Ed è insensato parlare del numero di tutti gli oggetti.
Lo stesso vale per le parole «complesso», «fatto», «funzione», «numero», ecc.
Esse simbolizzano tutte concetti formali e vengono presentate nell'ideografia attraverso variabili, non (come pensavano Frege e Russell) attraverso funzioni o classi.
Espressioni come «1 è un numero», «vi è un solo zero» e tutte quelle di questo genere sono insensate.
(Dire «vi è un solo 1» è tanto insensato quanto lo sarebbe dire: «2 + 2 è uguale a 4 alle ore 3».)
4.12721Il concetto formale è già dato con un oggetto che cade sotto di esso. Non si possono quindi introdurre, come concetti fondamentali, gli oggetti che cadono sotto un concetto formale e il concetto formale stesso. Non si possono quindi ad es. introdurre, come concetti fondamentali, il concetto della funzione e anche funzioni particolari (come fa Russell); o il concetto di numero e numeri determinati.
4.1273Se vogliamo esprimere la proposizione generale «b è un successore di a» nell'ideografia, abbiamo bisogno per questo di un'espressione per il termine generale della serie formale:
- a R b,
- (∃x) : a R x . x R b,
- (∃x y) : a R x . x R y . y R b, …
Il termine generale di una serie formale può essere espresso solo mediante una variabile, poiché il concetto di termine di questa serie formale è un concetto formale. (Questo è stato trascurato da Frege e Russell; il modo in cui essi vogliono esprimere le proposizioni generali, come quella qui sopra, è perciò errato; esso contiene un circolo vizioso.)
Possiamo determinare il termine generale della serie formale indicando il suo primo termine e la forma generale dell'operazione che genera l'elemento successivo dalla proposizione precedente.
4.1274La domanda sull'esistenza di un concetto formale è insensata. Poiché nessuna proposizione può rispondere a una tale domanda.
(Così ad es. non si può chiedere: «Vi sono proposizioni soggetto-predicato inanalizzabili?»)
4.128Le forme logiche sono anumeriche.
Perciò nella logica non vi sono numeri speciali e perciò non vi è alcun monismo filosofico o dualismo filosofico ecc.
4.2Il senso della proposizione è il suo accordo e non-accordo con le possibilità del sussistere e non-sussistere degli stati di cose.
4.21La proposizione più semplice, la proposizione elementare, asserisce il sussistere di uno stato di cose.
4.211Una caratteristica della proposizione elementare è che nessuna proposizione elementare può contraddirla.
4.22La proposizione elementare consiste di nomi. Essa è una connessione, una concatenazione di nomi.
4.221È evidente che tramite l'analisi della proposizione dobbiamo pervenire a proposizioni elementari che consistano di nomi collegati gli uni agli altri in modo immediato.
Si pone qui la questione di come si costituisca la connessione proposizionale.
4.2211Anche se il mondo fosse infinitamente complesso, così che ogni fatto consistesse di un numero infinito di stati di cose e ogni stato di cose fosse composto di un numero infinito di oggetti, anche in questo caso dovrebbero esservi oggetti e stati di cose.
4.23Il nome compare nella proposizione solo nel contesto della proposizione elementare.
4.24I nomi sono i simboli semplici; li indico mediante singole lettere («x», «y», «z»).
Scrivo la proposizione elementare come funzione dei nomi nella forma: «f x», «φ(x, y)», ecc.
Oppure la indico mediante le lettere p, q, r.
4.241Se utilizzo due segni in un solo e medesimo significato, lo esprimo collocando tra essi il segno «=».
«a = b» vuol dire quindi: il segno «a» può essere sostituito con il segno «b».
(Se introduco un nuovo segno «b» attraverso un'uguaglianza, stabilendo che esso debba sostituire un segno «a» già noto, allora (come Russell) scrivo l'uguaglianza – definizione – nella forma «a = b def.». La definizione è una regola segnica.)
4.242Espressioni della forma «a = b» sono quindi solo espedienti della presentazione; esse non dicono nulla sul significato dei segni «a», «b».
4.243Possiamo comprendere due nomi senza sapere se essi simbolizzano la stessa cosa o due cose diverse? – Possiamo comprendere una proposizione in cui compaiono due nomi senza sapere se il loro significato è uguale o diverso?
Se per esempio conosco il significato di una parola inglese e di una tedesca che ha lo stesso significato, è impossibile che io non sappia che le due parole hanno lo stesso significato; è impossibile che io non riesca a tradurle l'una nell'altra.
Espressioni come «a = a», o derivate da queste, non sono né proposizioni elementari né segni comunque dotati di senso. (Questo si mostrerà più tardi.)
4.25Se la proposizione elementare è vera, allora lo stato di cose sussiste; se la proposizione elementare è falsa, allora lo stato di cose non sussiste.
4.26L'enunciazione di tutte le proposizioni elementari vere descrive il mondo completamente. Il mondo è completamente descritto dall'enunciazione di tutte le proposizioni elementari più l'enunciazione di quali tra esse sono vere e quali false.
4.27Quanto al sussistere o non-sussistere di n stati di cose vi sono possibilità.
Ciascuna combinazione di stati di cose può sussistere, le altre non sussistendo.
4.28A queste combinazioni corrispondono altrettante possibilità della verità – e falsità – di n proposizioni elementari.
4.3Le possibilità di verità delle proposizioni elementari significano le possibilità del sussistere e non-sussistere degli stati di cose.
4.31Possiamo presentare le possibilità di verità attraverso schemi fatti nel modo seguente («V» significa «vero», «F» «falso». Le righe delle «V» ed «F» sotto la riga delle proposizioni elementari significano con un simbolismo facilmente comprensibile le loro possibilità di verità):
p | q | r |
---|---|---|
V | V | V |
F | V | V |
V | F | V |
V | V | F |
F | F | V |
F | V | F |
V | F | F |
F | F | F |
p | q |
---|---|
V | V |
F | V |
V | F |
F | F |
p |
---|
V |
F |
4.4La proposizione è l'espressione dell'accordo e non-accordo con le possibilità di verità delle proposizioni elementari.
4.41Le possibilità di verità delle proposizioni elementari sono le condizioni della verità e falsità delle proposizioni.
4.411Appare subito verosimile che l'introduzione delle proposizioni elementari sia fondamentale per la comprensione di tutti gli altri tipi di proposizione. Già, si percepisce che la comprensione delle proposizioni generali dipende da quella delle proposizioni elementari.
4.42Quanto all'accordo e non-accordo di una proposizione con le possibilità di verità di n proposizioni elementari, vi sono possibilità.
4.43Possiamo esprimere l'accordo con le possibilità di verità assegnando a esse nello schema per esempio il segno «V» (vero).
L'assenza di questo segno significa il non-accordo.
4.431L'espressione dell'accordo e non-accordo con le possibilità di verità delle proposizioni elementari esprime le condizioni di verità della proposizione.
La proposizione è l'espressione delle sue condizioni di verità.
(Frege aveva quindi perfettamente ragione quando le ha poste in apertura come spiegazione dei segni della sua ideografia. In Frege, tuttavia, è errata la spiegazione del concetto di verità: se «il vero» e «il falso» fossero davvero oggetti e fossero gli argomenti in ~p ecc., allora secondo la determinazione di Frege il senso di «~p» non sarebbe in alcun modo determinato.)
4.44Il segno che nasce dalla coordinazione di questo segno «V» e delle possibilità di verità è un segno proposizionale.
4.441È chiaro che al complesso dei segni «F» e «V» non corrisponde alcun oggetto (o complesso di oggetti); no più che alle linee verticali od orizzontali o alle parentesi. – Non vi sono «oggetti logici».
Qualcosa di analogo vale naturalmente per tutti i segni che esprimono lo stesso che gli schemi delle «V» ed «F».
4.442Per esempio
« |
|
» |
è un segno proposizionale.
(Il «segno di affermazione» di Frege «» è logicamente del tutto privo di significato; in Frege (e Russell) esso indica solo che questi autori tengono per vere le proposizioni da esso contrassegnate. «» non appartiene quindi alla struttura della proposizione più di quanto [le appartenga] per esempio il numero della proposizione. È impossibile che una proposizione dica di se stessa che è vera.)
Se la sequenza di possibilità di verità nello schema è stabilita una volta per tutte mediante una regola di combinazione, allora l'ultima colonna da sola è già un'espressione delle condizioni di verità. Se riscriviamo questa colonna come riga, il segno proposizionale diviene:
«(VV–V)(p, q)» o, più esplicitamente, «(VVFV)(p, q)».
(Il numero dei posti nella parantesi a sinistra è determinato dal numero dei termini in quella a destra.)
4.45Per n proposizioni elementari vi sono possibili gruppi di condizioni di verità.
I gruppi di condizioni di verità che appartengono alle possibilità di verità di un certo numero di proposizioni elementari possono essere ordinati in una serie.
4.46Tra i gruppi possibili di condizioni di verità vi sono due casi estremi.
Nell'un caso la proposizione è vera per tutte le possibilità di verità delle proposizioni elementari. Diciamo che le condizioni di verità sono tautologiche.
Nell'altro caso la proposizione è falsa per tutte le possibilità di verità [delle proposizioni elementari]: le condizioni di verità sono contraddittorie.
Nel primo caso chiamiamo la proposizione una tautologia, nel secondo caso una contraddizione.
4.461La proposizione mostra che cosa dice; la tautologia e la contraddizione mostrano di non dire niente.
La tautologia non ha condizioni di verità, poiché essa è vera senza condizioni; e la contraddizione non è vera sotto alcuna condizione.
Tautologia e contraddizione sono prive di senso.
(Come il punto dal quale si dipartono due frecce in direzione contraria l'una rispetto all'altra.)
(Ad es. non so nulla del tempo se so che piove o non piove.)
4.4611La tautologia e la contraddizione non sono però insensate; esse appartengono al simbolismo, similmente in effetti a come lo «0» appartiene al simbolismo dell'aritmetica.
4.462Tautologia e contraddizione non sono immagini della realtà. Esse non presentano alcuno stato di cose possibile. Quella infatti permette ogni stato di cose possibile, questa nessuno.
Nella tautologia le condizioni dell'accordo con il mondo – le relazioni di presentazione – si annullano a vicenda, in modo tale che essa non sta in alcuna relazione di presentazione con la realtà.
4.463Le condizioni di verità determinano il gioco che viene lasciato ai fatti dalla proposizione.
(La proposizione, l'immagine, il modello sono, in senso negativo, come un corpo fisso che limita la libertà di movimento di altri [corpi]; in senso positivo, come lo spazio limitato da una sostanza fissa in cui un corpo ha posto.)
La tautologia lascia alla realtà l'intero – infinito – spazio logico; la contraddizione riempie l'intero spazio logico e non lascia alla realtà alcun punto. Nessuna delle due perciò può determinare in alcun modo la realtà.
4.464La verità della tautologia è certa, della proposizione possibile, della contraddizione impossibile.
(Certo, possibile, impossibile: qui abbiamo l'indicazione di quella gradazione di cui abbiamo bisogno nella teoria della probabilità.)
4.465Il prodotto logico di una tautologia e di una proposizione dice lo stesso che la proposizione. Quindi tale prodotto è identico alla proposizione. Non si può infatti modificare l'essenziale del simbolo senza modificare il suo senso.
4.466A un determinato collegamento logico di segni corrisponde un determinato collegamento logico dei loro significati; solo ai segni non collegati corrisponde un qualsiasi collegamento [di significati].
Questo vuol dire che le proposizioni che sono vere per ogni stato di cose non possono assolutamente essere un collegamento di segni, poiché altrimenti potrebbero corrispondere a esse solo collegamenti determinati di oggetti.
(E non vi è alcun collegamento logico a cui non corrisponde alcun collegamento degli oggetti).
Tautologia e contraddizione sono i casi limite del collegamento di segni, cioè ne sono la dissoluzione.
4.4661Ovviamente anche nella tautologia e nella contraddizione i segni sono collegati tra di loro, cioè sono in relazione gli uni con gli altri, ma queste relazioni sono prive di significato, inessenziali per il simbolo.
4.5Sembra ora che sia possibile indicare la forma proposizionale più generale: cioè dare una descrizione delle proposizioni di un linguaggio segnico qualunque, in modo tale che ogni senso possibile possa essere espresso mediante un simbolo al quale si attaglia la descrizione, e che ogni simbolo al quale la descrizione si attaglia possa esprimere un senso se i significati dei nomi vengono scelti appropriatamente.
È chiaro che nella descrizione della forma proposizionale più generale può essere descritto solo ciò che essa ha di essenziale – altrimenti infatti essa non sarebbe la più generale.
Che vi sia una forma proposizionale generale è dimostrato dall’impossibilità che vi sia una proposizione la cui forma non si sarebbe potuta prevedere (cioè costruire). La forma generale della proposizione è: le cose stanno così e così.
4.51Supponiamo che mi fossero date tutte le proposizioni elementari: viene da chiedersi quali proposizioni io potrei costruire con esse. E queste sono tutte le proposizioni ed esse sono così limitate.
4.52Le proposizioni sono tutto ciò che segue dalla totalità delle proposizioni elementari (e naturalmente anche dall'essere queste la totalità [delle proposizioni elementari]). (Così si potrebbe dire, in un certo senso, che tutte le proposizioni sono generalizzazioni delle proposizioni elementari.)
4.53La forma proposizionale generale è una variabile.
5La proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari.
(La proposizione elementare è una funzione di verità di se stessa.)
5.01Le proposizioni elementari sono gli argomenti di verità della proposizione.
5.02Ci vuole poco a confondere gli argomenti delle funzioni con gli indici dei nomi. Infatti riconosco tanto bene dall'argomento come dall'indice il significato del segno che li contiene.
Nel «+c» di Russell per esempio «c» è un indice che segnala che l'intero segno è il segno dell'addizione per i numeri cardinali. Ma questa simbolizzazione riposa su una convenzione arbitraria e si potrebbe scegliere al posto di «+c» un segno semplice; in «~p» però «p» non è un indice, ma un argomento: il senso di «~p» non può venir compreso senza che prima sia stato compreso il senso di «p». (Nel nome Giulio Cesare, «Giulio» è un indice. L'indice è sempre una parte di una descrizione dell'oggetto al cui nome lo associamo. Ad es. Il Cesare della gens Iulia.)
La confusione tra argomento e indice è alla base, se non m'inganno, della teoria del significato delle proposizioni e delle funzioni di Frege. Per Frege le proposizioni della logica erano nomi e i loro argomenti gli indici di questi nomi.
5.1Le funzioni di verità possono essere ordinate in serie.
Questo è il fondamento della teoria della probabilità.
5.101Le funzioni di verità di un qualunque numero di proposizioni elementari possono essere inserite in uno schema fatto nel modo seguente:
(VVVV)(p, q) | tautologia | (Se p, allora p; e se q, allora q.) (p ⊃ p . q ⊃ q) |
(FVVV)(p, q) | a parole: | Non sia p che q. (~(p . q)) |
(VFVV)(p, q) | » » | Se q, allora p. (q ⊃ p) |
(VVFV)(p, q) | » » | Se p, allora q. (p ⊃ q) |
(VVVF)(p, q) | » » | p o q. (p ∨ q) |
(FFVV)(p, q) | » » | Non q. ~q |
(FVFV)(p, q) | » » | Non p. ~p |
(FVVF)(p, q) | » » | p o q, ma non sia p che q. (p . ~q : ∨ : q . ~p) |
(VFFV)(p, q) | » » | Se p, allora q; e se q, allora p. (p ≡ q) |
(VFVF)(p, q) | » » | p |
(VVFF)(p, q) | » » | q |
(FFFV)(p, q) | » » | Né p né q. (~p . ~q) o (p | q) |
(FFVF)(p, q) | » » | p e non q. (p . ~q) |
(FVFF)(p, q) | » » | q e non p. (q . ~p) |
(VFFF)(p, q) | » » | q e p. (q . p) |
(FFFF)(p, q) | contraddizione | (p e non p; e q e non q.) (p . ~p . q . ~q) |
Chiamo fondamenti di verità di una proposizione quelle possibilità di verità degli argomenti di verità della proposizione che la rendono vera.
5.11Se i fondamenti di verità che sono comuni a un certo numero di proposizioni sono tutti anche fondamenti di verità di una determinata proposizione, allora diciamo che la verità di questa proposizione segue dalla verità di quelle proposizioni.
5.12In particolare la verità di una proposizione «p» segue dalla verità di un'altra «q» se tutti i fondamenti di verità della seconda sono fondamenti di verità della prima.
5.121I fondamenti di verità dell'una sono contenuti in quelli dell'altra; p segue da q.
5.122Se p segue da q, allora il senso di «p» è contenuto nel senso di «q».
5.123Se un dio crea un mondo in cui certe proposizioni sono vere, allora con ciò crea anche già un mondo in cui tutte le proposizioni che conseguono da esse sono vere. E similmente egli non potrebbe creare un mondo in cui la proposizione «p» è vera senza creare tutti i suoi oggetti.
5.124La proposizione afferma ogni proposizione che segue da essa.
5.1241«p . q» è una delle proposizioni che affermano «p» e, allo stesso modo, una delle proposizioni che affermano «q».
Due proposizioni sono contraddittorie quando non vi è alcuna proposizione dotata di senso che le afferma entrambe.
Ogni proposizione che ne contraddice un'altra la nega.
5.13Che la verità di una proposizione segue dalla verità di altre proposizioni si vede dalla struttura delle proposizioni.
5.131Se la verità di una proposizione segue dalla verità di altre, questo si esprime attraverso relazioni in cui le forme di quelle proposizioni stanno l'una con l'altra; in effetti non abbiamo bisogno di essere noi a metterle in quelle relazioni collegandole l'una con l'altra in una proposizione; queste relazioni sono bensì interne, sussistono non appena sussistono quelle proposizioni e per il sussistere di quelle proposizioni.
5.1311Se concludiamo da p ∨ q e ~p a q, qui la relazione delle forme proposizionali di «p ∨ q» e «~p» è nascosta dalla modalità di simbolizzazione. Ma se ad es. scriviamo «p | q . | . p | q» invece che «p ∨ q» e «p | p» (dove p | q = né p né q) anziché «~p», allora la connessione interna diviene evidente.
(Che si possa concludere da (x) . f x a f a mostra che la generalità è presente anche nel simbolo «(x) . f x».)
5.132Se p segue da q, allora posso concludere da q a p; dedurre p da q.
La modalità dell'inferenza va tratta soltanto dalle due proposizioni.
Solo esse stesse possono giustificare l'inferenza.
«Leggi d'inferenza», intese – come in Frege e Russell – a giustificare le inferenze, sono prive di senso, e sarebbero superflue.
5.133Ogni deduzione avviene a priori.
5.134Da una proposizione elementare non è possibile dedurne un'altra.
5.135In nessun modo si può concludere dal sussistere di un certo stato di cose al sussistere di uno stato di cose del tutto diverso da esso.
5.136Un nesso di causa che giustifica una tale inferenza non vi è.
5.1361Non possiamo dedurre gli eventi del futuro da quelli presenti.
La credenza nel nesso di causa è la superstizione.
5.1362La libertà dell'arbitrio consiste in ciò: che gli atti futuri non possono essere conosciuti adesso. Potremmo conoscerli solo se la causalità fosse una necessità interna, come quella delle inferenze logiche. – La connessione tra il conoscere e ciò che è conosciuto è la connessione della necessità logica.
(«A sa che si verifica p» è privo di senso se p è una tautologia.)
5.1363Se dal sembrarci una proposizione evidente non segue che essa è vera, allora nemmeno il suo sembrare evidente è una giustificazione per il nostro credere alla sua verità.
5.14Se una proposizione segue da un'altra, questa dice più di quella, quella meno di questa.
5.141Se p segue da q e q da p, allora le due sono una e la stessa proposizione.
5.142La tautologia segue da tutte le proposizioni: essa non dice niente.
5.143La contraddizione è, tra ciò che le proposizioni hanno in comune, ciò che nessuna proposizione ha in comune con un'altra. La tautologia è ciò che hanno in comune tutte le proposizioni che non hanno niente in comune l'una con l'altra.
La contraddizione scompare per così dire al di fuori di tutte le proposizioni, la tautologia all'interno.
La contraddizione è il limite esterno delle proposizioni, la tautologia il loro centro privo di sostanza.
5.15Se Vr è il numero dei fondamenti di verità della proposizione «r» e Vrs il numero di quei fondamenti di verità della proposizione «s» che sono ugualmente fondamenti di verità di «r», allora chiamiamo il rapporto Vrs : Vr la misura della probabilità che la proposizione «r» dà alla proposizione «s».
5.151Sia, in uno schema come quello sopra al n. 5.101, Vr il numero delle «V» nella proposizione r; Vrs il numero di quelle «V» nella proposizione s che si trovano nelle stesse colonne delle «V» della proposizione r. La proposizione r dà allora alla proposizione s la probabilità Vrs : Vr.
5.1511Non vi è alcun oggetto particolare che sia proprio delle proposizioni della [teoria della] probabilità.
5.152Chiamiamo indipendenti l'una dall'altra proposizioni che non hanno alcun argomento di verità in comune l'una con l'altra.
Proposizioni indipendenti l'una dall'altra (ad es. due qualsiasi proposizioni elementari) danno l'una all'altra la probabilità ½.
Se p segue da q, la proposizione «q» dà alla proposizione «p» la probabilità 1. La certezza dell'inferenza logica è un caso limite della probabilità.
(Applicazione alla tautologia e alla contraddizione.)
5.153Una proposizione non è in sé né probabile né improbabile. Un evento capita o non capita, non vi è una via di mezzo.
5.154In un'urna vi siano altrettante palle bianche e nere (e nessun'altra). Estraggo una palla dopo l'altra e le rimetto di nuovo nell'urna. In tal modo posso stabilire sperimentalmente che i numeri delle palle nere e bianche estratte si avvicinano l'uno all'altro man mano che continuo con le estrazioni.
Quindi questo non è un dato di fatto matematico.
Se ora dico: è altrettanto probabile che io estragga una palla bianca o una nera, questo vuol dire: tutte le circostanze che mi sono note (incluse le leggi naturali assunte ipoteticamente) non danno al capitare dell'un evento più probabilità che al capitare dell'altro. Il che vuol dire che danno a ciascuno – come si comprende facilmente dalle spiegazioni date sopra – la probabilità ½.
Ciò che confermo sperimentalmente è che il capitare dei due eventi è indipendente dalle circostanze, per quanto le conosco.
5.155L'unità della proposizione della probabilità è: le circostanze – nella misura in cui le conosco – danno al capitare di un determinato evento questo e questo grado di probabilità.
5.156Quindi la probabilità è una generalizzazione.
Essa comporta una descrizione generale di una forma proposizionale.
Solo in mancanza della certezza usiamo la probabilità. – Se non conosciamo perfettamente un fatto, ma pur sappiamo qualcosa sulla sua forma.
(Una proposizione può essere un'immagine imperfetta di un certo stato di cose, ma è sempre una immagine perfetta.)
La proposizione della probabilità è per così dire un estratto da altre proposizioni.
5.2Le strutture delle proposizioni stanno in relazioni interne l'una con l'altra.
5.21Possiamo far emergere queste relazioni interne nel nostro modo di espressione presentando una proposizione come risultato di un'operazione che fa risultare quella proposizione da altre proposizioni (dalle basi dell'operazione).
5.22L'operazione è l'espressione di una relazione tra le strutture del suo risultato e delle sue basi.
5.23L'operazione è ciò che deve succedere all'una proposizione per ottenerne l’altra.
5.231E questo dipenderà naturalmente dalle loro proprietà formali, dalla somiglianza interna delle loro forme.
5.232La relazione interna che ordina una serie è equivalente all'operazione attraverso la quale un termine risulta dall'altro.
5.233L'operazione può comparire solo là dove una proposizione risulta in modo logicamente dotato di significato da un'altra. Quindi là dove comincia la costruzione logica della proposizione.
5.234Le funzioni di verità delle proposizioni elementari sono risultati di operazioni che hanno le proposizioni elementari come basi. (Chiamo queste operazioni operazioni di verità.)
5.2341Il senso di una funzione di verità di p è una funzione del senso di p.
Negazione, addizione logica, moltiplicazione logica ecc. ecc. sono operazioni.
(La negazione inverte il senso della proposizione.)
5.24L'operazione si mostra in una variabile; essa mostra come si può passare da una forma di proposizioni a un'altra.
Essa porta a espressione la differenza delle forme.
(E ciò che è in comune tra le basi e il risultato dell'operazione sono appunto le basi.)
5.241L'operazione non caratterizza alcuna forma, ma solo la differenza delle forme.
5.242La stessa operazione che ottiene «q» da «p» ottiene da «q» «r» e così di seguito. Questo può esprimersi solo in questo: che «p», «q», «r» sono variabili che portano a espressione generale certe relazioni formali.
5.25Il comparire dell'operazione non caratterizza il senso della proposizione.
L'operazione in effetti non enuncia niente, solo il proprio risultato, e questo dipende dalle basi dell'operazione.
(Operazione e funzione non possono essere scambiate l'una con l'altra.)
5.251Una funzione non può essere il proprio stesso argomento, ma il risultato di un'operazione può ben diventare la sua base.
5.252Solo così è possibile il passaggio da termine a termine in una serie formale (da tipo a tipo nelle gerarchie di Russell e Whitehead). (Russell e Whitehead non hanno ammesso la possibilità di questo passaggio, ma ne hanno più e più volte fatto uso.)
5.2521Chiamo l'applicazione ripetuta di un'operazione al suo proprio risultato la sua applicazione successiva («O' O' O' a» è il risultato della applicazione successiva, per tre volte, di «O' ξ» ad «a»).
In un senso simile parlo dell'applicazione successiva di più operazioni a un certo numero di proposizioni.
5.2522Scrivo quindi il termine generale di una serie formale a, O' a, O' O' a, … così: «[a, x, O' x]». Questa espressione tra parentesi è una variabile. Il primo termine dell'espressione tra parentesi è l'inizio della serie formale, il secondo la forma di un termine a piacere x della serie e il terzo la forma di quel termine della serie che segue immediatamente x.
5.2523Il concetto dell'applicazione successiva dell'operazione è equivalente al concetto «e così via».
5.253Un'operazione può annullare l'effetto di un'altra. Le operazioni possono cancellarsi l'un l'altra.
5.254L'operazione può scomparire (ad es. la negazione in «~~p», ~~p = p).
5.3Tutte le proposizioni sono risultati di operazioni di verità con le proposizioni elementari.
L'operazione di verità è il modo in cui dalle proposizioni elementari risulta la funzione di verità.
Secondo l'essenza dell'operazione di verità, allo stesso modo in cui dalle proposizioni elementari risulta la loro funzione di verità, dalle funzioni di verità risulta una nuova funzione di verità. Ogni operazione di verità genera, da funzioni di verità di proposizioni elementari, di nuovo una funzione di verità di proposizioni elementari, una proposizione. Il risultato di ogni operazione di verità con i risultati di operazioni di verità con proposizioni elementari è di nuovo il risultato di una operazione di verità con proposizioni elementari.
Ogni proposizione è il risultato di operazioni di verità con proposizioni elementari.
5.31Gli schemi al n. 4.31 hanno quindi un significato anche se «p», «q», «r», ecc. non sono proposizioni elementari.
Ed è facile vedere che il segno proposizionale al n. 4.442 esprime una funzione di verità di proposizioni elementari anche se «p» e «q» sono funzioni di verità di proposizioni elementari.
5.32Tutte le funzioni di verità sono risultati dell'applicazione successiva di un numero finito di operazioni di verità alle proposizioni elementari.
5.4Qui si mostra che non vi sono «oggetti logici», «costanti logiche» (nel senso di Frege e di Russell).
5.41Infatti tutti i risultati di operazioni di verità con funzioni di verità che sono una e la stessa funzione di verità di proposizioni elementari sono identici.
5.42È evidente che ∨, ⊃, ecc. non sono relazioni nel senso di destra e sinistra ecc.
La possibilità di definire i «segni primitivi» logici di Frege e di Russell l'uno con riferimento all'altro mostra già che questi non sono segni primitivi e, a maggior ragione, che essi non designano alcuna relazione.
Ed è evidente che il «⊃» che noi definiamo mediante «~» e «∨» è identico a quello mediante il quale e mediante «~» definiamo «∨»; e che questo «∨» è identico al primo. E così via.
5.43Che da un fatto p debbano seguirne infiniti altri, cioè ~~p, ~~~~p, ecc., è, già a prima vista, difficile a credersi. E non è meno degno di nota che le infinite proposizioni della logica (della matematica) seguano da una mezza dozzina di «leggi fondamentali».
Ma tutte le proposizioni della logica dicono lo stesso – cioè niente.
5.44Le funzioni di verità non sono funzioni materiali.
Se ad es. si può generare un'affermazione mediante una doppia negazione, allora la negazione è – in qualche senso – contenuta nell'affermazione? «~~p» nega ~p o afferma p? O fa entrambe le cose?
La proposizione «~~p» non tratta della negazione come di un oggetto; ma la possibilità della negazione è già implicata nell'affermazione.
E se vi fosse un oggetto chiamato «~», «~~p» dovrebbe dire qualcosa di diverso da «p». Poiché l'una proposizione tratterebbe appunto di ~, l'altra no.
5.441Questo scomparire delle costanti logiche apparenti entra in scena anche nel momento in cui «(∃x) . ~f x» dice lo stesso che «(x) . f x», o «(∃x) . f x . x = a» lo stesso che «f a».
5.442Se ci è data una proposizione, con essa ci sono già dati anche i risultati di tutte le operazioni di verità che hanno quella proposizione come base.
5.45Se vi sono segni logici primitivi, una logica corretta deve render chiara la loro posizione reciproca e giustificare la loro esistenza. Deve divenire chiara la costruzione della logica a partire dai suoi segni primitivi.
5.451Se la logica ha concetti fondamentali, essi devono essere indipendenti gli uni dagli altri. Se viene introdotto un concetto fondamentale, esso dev'essere introdotto in tutte le connessioni in cui compare. Non si può quindi introdurlo dapprima per una connessione, poi di nuovo per un'altra. Ad es.: una volta introdotta la negazione, dobbiamo comprenderla tanto in proposizioni della forma «~p» quanto in proposizioni come «~(p ∨ q)», «(∃x) . ~f x ecc. Non possiamo introdurla prima per l'una classe di casi, poi per l'altra, poiché allora rimarrebbe dubbio se il suo significato sia lo stesso nei due casi e non vi sarebbe alcun motivo per usare nei due casi la stessa modalità di connessione dei segni.
(In breve, per l'introduzione dei segni primitivi vale, mutatis mutandis, lo stesso che Frege (nei Grundgesetze der Arithmetik) ha detto per l'introduzione di segni mediante definizioni.)
5.452L'introduzione di un nuovo espediente nel simbolismo della logica deve sempre essere un evento gravido di conseguenze. Nessun nuovo espediente può essere introdotto nella logica – per così dire, con aria del tutto innocente – tra parentesi o a margine.
(Così nei Principia Mathematica di Russell e Whitehead compaiono definizioni e leggi fondamentali espresse a parole. Perché qui improvvisamente parole? Questo richiederebbe una giustificazione. Essa manca e deve mancare; poiché il procedimento, di fatto, non è consentito.)
Se però l'introduzione di un nuovo espediente in una certa posizione si è dimostrata necessaria, ci si deve subito chiedere: dove, allora, questo espediente dev'essere sempre applicato? Adesso bisogna spiegare la sua posizione nella logica.
5.453Tutti i numeri della logica devono poter essere giustificati.
O piuttosto: deve rendersi chiaro che nella logica non vi sono numeri.
Non vi sono numeri speciali.
5.454Nella logica non vi è alcuna giustapposizione, non può esservi alcuna classificazione.
Nella logica non può esservi niente di più generale o di più particolare.
5.4541Le soluzioni dei problemi logici devono essere semplici, poiché esse stabiliscono lo standard della semplicità.
Gli uomini hanno sempre avuto il sentimento che debba esservi un ambito di domande le cui risposte sono – a priori – unite simmetricamente, secondo una struttura chiusa e regolare.
Un ambito nel quale vale la sentenza: simplex sigillum veri.
5.46Se si introducessero i segni logici correttamente, si sarebbe già introdotto con ciò anche il senso di tutte le loro combinazioni; quindi non solo «p ∨ q», ma anche «~(p ∨ ~q)» ecc. ecc. Si sarebbe già introdotto con ciò anche l'effetto di tutte le possibili combinazioni di parentesi. E con ciò sarebbe divenuto chiaro che i veri e propri segni primitivi generali non sono i «p ∨ q», «(∃x) . f x» ecc., bensì la forma più generale delle loro combinazioni.
5.461È significativo il fatto apparentemente irrilevante che le pseudo-relazioni logiche, come ∨ e ⊃, hanno bisogno delle parentesi – al contrario delle relazioni reali.
L'uso delle parentesi con questi segni primitivi apparenti indica già che questi non sono i segni primitivi reali. E certo nessuno crederà che le parentesi abbiano un significato autonomo.
5.4611I segni logici di operazione sono punteggiatura.
5.47È chiaro che ciò che può essere detto fin dal principio sulla forma di tutte le proposizioni deve poter essere detto tutto in una volta.
Nella proposizione elementare sono già contenute tutte le operazioni logiche. Poiché «f a» dice lo stesso che «(∃x) . f x . x = a».
Dov'è composizione sono anche argomento e funzione, e dove sono questi sono già tutte le costanti logiche.
Si potrebbe dire: l'unica costante logica è ciò che tutte le proposizioni, per loro natura, hanno in comune l'una con l'altra.
Ma questa è la forma generale della proposizione.
5.471La forma generale della proposizione è l'essenza della proposizione.
5.4711Indicare l'essenza della proposizione vuol dire indicare l'essenza di ogni descrizione, e quindi l'essenza del mondo.
5.472La descrizione della forma più generale della proposizione è la descrizione dell'uno e unico segno primitivo generale della logica.
5.473La logica deve badare a se stessa.
Un segno possibile deve anche poter designare. Tutto ciò che nella logica è possibile è anche lecito. («Socrate è identico» non vuol dire niente perché non vi è alcuna proprietà che si chiama «identico». La proposizione è insensata perché non abbiamo stabilito una determinazione arbitraria, ma non perché il simbolo sarebbe illegittimo in sé e per sé.)
In un certo senso, nella logica non possiamo sbagliarci.
5.4731L'autoevidenza di cui Russell ha parlato tanto può diventare superflua in logica solo nella misura in cui il linguaggio stesso impedisce ogni errore logico. – L'essere la logica a priori consiste nell'essere impossibile pensare illogicamente.
5.4732Non possiamo dare a un segno il senso sbagliato.
5.47321Il rasoio di Occam non è naturalmente una regola arbitraria o giustificata dal suo successo pratico: esso dice che unità segniche non necessarie non significano niente.
Segni che realizzano uno scopo sono logicamente equivalenti; segni che non realizzano alcuno scopo sono logicamente privi di significato.
5.4733Frege dice: ogni proposizione costruita legittimamente deve avere un senso; e io dico: ogni proposizione possibile è costruita legittimamente, e se non ha senso ciò può dipendere solo dal non aver noi dato alcun significato a qualcuno dei suoi elementi costitutivi.
(Anche se crediamo di averlo fatto.)
Quindi «Socrate è identico» non dice niente perché alla parola «identico» non abbiamo dato alcun significato come aggettivo. Infatti, quando funziona come segno d'identità, questa parola simbolizza in modo del tutto diverso – la relazione di designazione è un'altra – così che anche il simbolo è del tutto diverso nei due casi; i due simboli hanno in comune solo il segno, per caso.
5.474Il numero delle operazioni fondamentali necessarie dipende solo dalla nostra notazione.
5.475È solo questione di costruire un sistema di segni con un determinato numero di dimensioni – con una determinata molteplicità matematica.
5.476È chiaro che qui non si tratta di un novero di concetti fondamentali che devono essere designati, ma dell'espressione di una regola.
- ↑ Le cifre decimali con cui sono numerate le singole proposizioni indicano il peso logico delle proposizioni, l'enfasi a loro attribuita nella mia presentazione. Le proposizioni n.1, n.2, n.3 ecc. sono commenti alla proposizione numero n; le proposizioni n.m1, n.m2, ecc. commenti alla proposizione numero n.m; e così via.