Conferenza sull’etica: Difference between revisions

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Ora, c’è un modo in cui sarei tentato di far fronte a questo paradosso. Permettetemi innanzitutto di considerare ancora una volta la nostra prima esperienza, quella della meraviglia per l’esistenza del mondo, e permettetemi di descriverla in modo leggermente diverso. Sappiamo tutti cosa nella vita ordinaria verrebbe chiamato “un miracolo”. Ovviamente si tratta semplicemente di un evento come non ne abbiamo mai visto uno. Ora, supponete che accadesse un evento del genere. Prendete il caso che a uno di voi crescesse all’improvviso una testa di leone e che egli iniziasse a ruggire. Certamente non si potrebbe immaginare una cosa più straordinaria di questa. Ora, non appena ci fossimo riavuti dalla sorpresa, ciò che io suggerirei sarebbe di chiamare un dottore e fare in modo che il caso venga esaminato scientificamente. Se ciò non volesse dire fargli del male, vorrei che egli venisse vivisezionato. E allora il miracolo che fine farebbe? È chiaro infatti che tutto ciò che v’è di miracoloso nella cosa scompare quando guardiamo a essa in questo modo; a meno che ciò che intendiamo con questo termine sia solo che un fatto non è ancora stato spiegato dalla scienza, il che a sua volta significa che finora non siamo riusciti a categorizzare questo fatto insieme ad altri in un sistema scientifico. Questo mostra che è assurdo dire: “La scienza ha provato che i miracoli non esistono”. La verità è che il modo scientifico di guardare a un fatto non è il modo in cui si guarda a esso come a un miracolo. Qualunque fatto che possiate immaginare, infatti, non è in se stesso miracoloso nel senso assoluto di questo termine. Adesso vediamo infatti che finora abbiamo impiegato la parola “miracolo” in un senso relativo e in uno assoluto. E così posso descrivere l’esperienza di meravigliarsi dell’esistenza del mondo dicendo: si tratta dell’esperienza di vedere il mondo come un miracolo. Ebbene, sono tentato di dire che l’espressione corretta nel linguaggio per il miracolo dell’esistenza, benché non sia alcuna proposizione ''nel'' linguaggio, è l’esistenza stessa del linguaggio. Ma cosa significa dunque essere consapevoli di questo miracolo in alcuni momenti e non in altri? Traslando l’espressione del miracolo da un’espressione ''per mezzo del'' linguaggio all’espressione ''grazie all’esistenza del'' linguaggio, infatti, non ho detto altro se non che non possiamo esprimere ciò che vogliamo esprimere e che tutto ciò che ''diciamo'' su ciò che è miracoloso in senso assoluto rimane nonsenso.
Ora, c’è un modo in cui sarei tentato di far fronte a questo paradosso. Permettetemi innanzitutto di considerare ancora una volta la nostra prima esperienza, quella della meraviglia per l’esistenza del mondo, e permettetemi di descriverla in modo leggermente diverso. Sappiamo tutti cosa nella vita ordinaria verrebbe chiamato “un miracolo”. Ovviamente si tratta semplicemente di un evento come non ne abbiamo mai visto uno. Ora, supponete che accadesse un evento del genere. Prendete il caso che a uno di voi crescesse all’improvviso una testa di leone e che egli iniziasse a ruggire. Certamente non si potrebbe immaginare una cosa più straordinaria di questa. Ora, non appena ci fossimo riavuti dalla sorpresa, ciò che io suggerirei sarebbe di chiamare un dottore e fare in modo che il caso venga esaminato scientificamente. Se ciò non volesse dire fargli del male, vorrei che egli venisse vivisezionato. E allora il miracolo che fine farebbe? È chiaro infatti che tutto ciò che v’è di miracoloso nella cosa scompare quando guardiamo a essa in questo modo; a meno che ciò che intendiamo con questo termine sia solo che un fatto non è ancora stato spiegato dalla scienza, il che a sua volta significa che finora non siamo riusciti a categorizzare questo fatto insieme ad altri in un sistema scientifico. Questo mostra che è assurdo dire: “La scienza ha provato che i miracoli non esistono”. La verità è che il modo scientifico di guardare a un fatto non è il modo in cui si guarda a esso come a un miracolo. Qualunque fatto che possiate immaginare, infatti, non è in se stesso miracoloso nel senso assoluto di questo termine. Adesso vediamo infatti che finora abbiamo impiegato la parola “miracolo” in un senso relativo e in uno assoluto. E così posso descrivere l’esperienza di meravigliarsi dell’esistenza del mondo dicendo: si tratta dell’esperienza di vedere il mondo come un miracolo. Ebbene, sono tentato di dire che l’espressione corretta nel linguaggio per il miracolo dell’esistenza, benché non sia alcuna proposizione ''nel'' linguaggio, è l’esistenza stessa del linguaggio. Ma cosa significa dunque essere consapevoli di questo miracolo in alcuni momenti e non in altri? Traslando l’espressione del miracolo da un’espressione ''per mezzo del'' linguaggio all’espressione ''grazie all’esistenza del'' linguaggio, infatti, non ho detto altro se non che non possiamo esprimere ciò che vogliamo esprimere e che tutto ciò che ''diciamo'' su ciò che è miracoloso in senso assoluto rimane nonsenso.


Ora la risposta a tutto ciò sembrerà perfettamente chiara a molti di voi. Voi direte: be’, se certe esperienze ci inducono costantemente nella tentazione di attribuir loro una qualità che chiamiamo valore e importanza assoluti, o etici, questo mostra semplicemente che con queste parole ''non'' intendiamo qualcosa di insensato, che dopo tutto ciò che intendiamo dicendo che un’esperienza ha valore assoluto è ''solo un fatto come altri fatti'' e che tutto questo si riduce alla conclusione che non siamo ancora riusciti a trovare l’analisi logica corretta di ciò che intendiamo con le nostre espressioni etiche e religiose. Ora, quando mi viene proposta questa considerazione io improvvisamente vedo chiaramente, quasi in un lampo di luce, non solo che nessuna descrizione che io possa immaginare sarebbe adeguata allo scopo di descrivere ciò che intendo con “valore assoluto”, ma che respingerei ogni descrizione dotata di significato che chiunque potrebbe mai suggerire, ''ab initio'', proprio sulla base del suo avere significato. Cioè: ora vedo che queste espressioni insensate non erano insensate perché non avevo ancora trovato le espressioni corrette, ma che la loro insensatezza era la loro essenza stessa. Non volevo in effetti far altro, con esse, che ''andare oltre'' il mondo, e cioè oltre il linguaggio dotato di significato.
Ora, la risposta a tutto ciò sembrerà perfettamente chiara a molti di voi. Voi direte: be’, se certe esperienze ci inducono costantemente nella tentazione di attribuir loro una qualità che chiamiamo valore e importanza assoluti, o etici, questo mostra semplicemente che con queste parole ''non'' intendiamo qualcosa di insensato, che dopo tutto ciò che intendiamo dicendo che un’esperienza ha valore assoluto è ''solo un fatto come altri fatti'' e che tutto questo si riduce alla conclusione che non siamo ancora riusciti a trovare l’analisi logica corretta di ciò che intendiamo con le nostre espressioni etiche e religiose. Ora, quando mi viene proposta questa considerazione, io all’improvviso vedo chiaramente, quasi in un lampo di luce, non solo che nessuna descrizione che io sia in grado di immaginare sarebbe adeguata allo scopo di descrivere ciò che intendo con “valore assoluto”, ma che respingerei ogni descrizione dotata di significato che chiunque potrebbe mai suggerire, ''ab initio'', proprio sulla base del suo avere significato. Cioè: ora vedo che queste espressioni insensate non erano insensate perché non avevo ancora trovato le espressioni corrette, ma che la loro insensatezza era la loro essenza stessa. Non volevo in effetti far altro, con esse, che ''andare oltre'' il mondo, e cioè oltre il linguaggio dotato di significato.


Tutta la mia tendenza, e, credo, la tendenza di tutti gli uomini che hanno mai provato a scrivere o a parlare di etica o di religione consisteva nell’andare a sbattere contro i limiti del linguaggio. Questo andare a sbattere contro i limiti della nostra gabbia è perfettamente, assolutamente disperato. L’etica, nella misura in cui nasce dal desiderio di dire qualcosa circa il senso ultimo della vita, il bene assoluto, il valore assoluto, non può essere una scienza. Ciò che essa dice non aggiunge alcunché alla nostra conoscenza, in alcun senso. Ma è un documento di una tendenza della mente umana che io personalmente non posso fare a meno di rispettare profondamente, e che non vorrei ridicolizzare per nulla al mondo.
Tutta la mia tendenza, e, credo, la tendenza di tutti gli uomini che hanno mai provato a scrivere o a parlare di etica o di religione consisteva nell’andare a sbattere contro i limiti del linguaggio. Questo andare a sbattere contro i limiti della nostra gabbia è perfettamente, assolutamente disperato. L’etica, nella misura in cui nasce dal desiderio di dire qualcosa circa il senso ultimo della vita, il bene assoluto, il valore assoluto, non può essere una scienza. Ciò che essa dice non aggiunge alcunché alla nostra conoscenza, in alcun senso. Ma è un documento di una tendenza della mente umana che io personalmente non posso fare a meno di rispettare profondamente, e che non vorrei ridicolizzare per nulla al mondo.