Conferenza sull’etica: Difference between revisions

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Allora che cos’hanno in mente coloro che, come me, sono ancora tentati di usare espressioni come “bene assoluto”, “valore assoluto”, eccetera? cos’abbiamo in mente e cosa tentiamo di esprimere? È naturale che ogni volta che cerco di chiarire questo punto a me stesso io richiami alla mente casi in cui sicuramente userei tali espressioni, e allora mi trovo nella situazione in cui sareste voi se, per esempio, io vi facessi una lezione sulla psicologia del piacere. Ciò che voi fareste in tale circostanza sarebbe provare a rievocare qualche situazione tipica in cui avete sempre provato piacere. Poiché, tenendo a mente questa situazione, tutto ciò che vi direi diventerebbe concreto e, per così dire, controllabile. Qualcuno sceglierebbe magari come esempio paradigmatico la sensazione di quando si fa una passeggiata in una bella giornata estiva. È in questa situazione che io mi trovo se voglio fissare la mente su ciò che intendo per valore assoluto o etico. E qui, nel mio caso, accade sempre che a presentarmisi sia una particolare esperienza che di conseguenza è, in un certo senso, la mia esperienza per eccellenza, e questa è la ragione per cui, parlandovi ora, userò questa esperienza come esempio primo e principale. (Come ho detto, questa è una questione del tutto personale e altri troverebbero più incisivi altri esempi.) Descriverò quest’esperienza allo scopo, se possibile, di farvi rievocare la stessa esperienza, o esperienze simili, così che possiamo avere un terreno comune per la nostra indagine.
Allora che cos’hanno in mente coloro che, come me, sono ancora tentati di usare espressioni come “bene assoluto”, “valore assoluto”, eccetera? cos’abbiamo in mente e cosa tentiamo di esprimere? È naturale che ogni volta che cerco di chiarire questo punto a me stesso io richiami alla mente casi in cui sicuramente userei tali espressioni, e allora mi trovo nella situazione in cui sareste voi se, per esempio, io vi facessi una lezione sulla psicologia del piacere. Ciò che voi fareste in tale circostanza sarebbe provare a rievocare qualche situazione tipica in cui avete sempre provato piacere. Poiché, tenendo a mente questa situazione, tutto ciò che vi direi diventerebbe concreto e, per così dire, controllabile. Qualcuno sceglierebbe magari come esempio paradigmatico la sensazione di quando si fa una passeggiata in una bella giornata estiva. È in questa situazione che io mi trovo se voglio fissare la mente su ciò che intendo per valore assoluto o etico. E qui, nel mio caso, accade sempre che a presentarmisi sia una particolare esperienza che di conseguenza è, in un certo senso, la mia esperienza per eccellenza, e questa è la ragione per cui, parlandovi ora, userò questa esperienza come esempio primo e principale. (Come ho detto, questa è una questione del tutto personale e altri troverebbero più incisivi altri esempi.) Descriverò quest’esperienza allo scopo, se possibile, di farvi rievocare la stessa esperienza, o esperienze simili, così che possiamo avere un terreno comune per la nostra indagine.


Credo che il modo migliore di descriverla sia dire che quando ce l’ho io ''mi meraviglio dell’esistenza del mondo''. E sono allora incline a usare formule come “com’è straordinario che esista qualcosa” o “com’è straordinario che esista il mondo”.
Credo che il modo migliore di descriverla sia dire che quando ce l’ho io ''mi meraviglio dell’esistenza del mondo''. E sono allora incline a usare formule come “Com’è straordinario che esista qualcosa” o “Com’è straordinario che esista il mondo”.


Farò subito menzione di un’altra esperienza che pure conosco e con cui forse altri di voi hanno familiarità: si tratta di quella che si potrebbe chiamare l’esperienza di sentirsi ''assolutamente'' al sicuro. Intendo lo stato mentale in cui uno è portato a dire “sono al sicuro, qualunque cosa accada, niente può farmi del male”.
Farò subito menzione di un’altra esperienza che pure conosco e con cui forse altri di voi hanno familiarità: si tratta di quella che si potrebbe chiamare l’esperienza di sentirsi ''assolutamente'' al sicuro. Intendo lo stato mentale in cui uno è portato a dire “Sono al sicuro: qualunque cosa accada, niente può farmi del male”.


Ora permettetemi di esaminare queste esperienze, poiché, credo, esibiscono proprio le caratteristiche che stiamo cercando di portare a chiarezza. E qui, per prima cosa, devo dire che l’espressione verbale che diamo a queste esperienze è insensata! Se dico “Mi meraviglio dell’esistenza del mondo” sto usando il linguaggio in modo improprio. Lasciate che mi spieghi: ha un senso perfettamente chiaro e corretto dire che mi meraviglio che qualcosa si verifichi; tutti comprendiamo cosa significa dire che mi meraviglio della taglia di un cane che è più grosso di qualunque altro che abbia mai visto; o di qualunque cosa che, nel senso comune della parola, è straordinaria. In ogni caso del genere mi meraviglio che si verifichi qualcosa di cui ''posso'' concepire che ''non'' si verifichi. Mi meraviglio della taglia di questo cane perché posso concepire un cane di una taglia diversa, cioè ordinaria, della quale non mi meraviglierei. Dire “Mi meraviglio che questo e questo si verifichi” ha senso solo se posso immaginare che non si verifichi. In questo senso ci si può meravigliare dell’esistenza, per esempio, di una casa quando la si rivede dopo molto tempo e si era immaginato che intanto essa fosse stata demolita. Ma è insensato dire che mi meraviglio dell’esistenza del mondo, perché non posso immaginare che non esista. Posso certamente meravigliarmi dell’essere il mondo intorno a me così com’è. Se per esempio avessi quest’esperienza mentre guardo un cielo azzurro, potrei meravigliarmi dell’essere il cielo azzurro contrapponendo questo caso a quello in cui è nuvoloso. Ma non è questo che intendo. Mi sto meravigliando dell’essere il cielo ''ciò che è''. Si potrebbe essere tentati di dire che ciò di cui mi sto meravigliando è una tautologia, cioè l’essere il cielo blu o non blu. Ma allora è appunto insensato dire che ci si meraviglia di una tautologia. Lo stesso vale per quell’altra esperienza che ho citato, l’esperienza dell’assoluta sicurezza. Sappiamo tutti cosa significa essere al sicuro nella vita ordinaria. Sono al sicuro nella mia stanza, quando non posso essere investito da un bus. Sono al sicuro se ho avuto la pertosse e dunque non posso prenderla di nuovo. Essere al sicuro vuol dire essenzialmente che è fisicamente impossibile che certe cose mi accadano, e di conseguenza è insensato dire che sono al sicuro ''qualunque cosa'' accada. Questo è un uso improprio della parola “sicuro”, così come l’altro esempio era un uso improprio della parola “esistenza” o “meravigliarsi”.
Ora permettetemi di esaminare queste esperienze, poiché, credo, esibiscono proprio le caratteristiche che stiamo cercando di portare a chiarezza. E qui, per prima cosa, devo dire che l’espressione verbale che diamo a queste esperienze è insensata! Se dico “Mi meraviglio dell’esistenza del mondo” sto usando il linguaggio in modo improprio. Lasciate che mi spieghi: ha un senso perfettamente chiaro e corretto dire che mi meraviglio che qualcosa si verifichi; tutti comprendiamo cosa significa dire che mi meraviglio della taglia di un cane che è più grosso di qualunque altro cane io abbia mai visto; o di qualunque cosa che, nel senso comune della parola, è straordinaria. In ogni caso del genere mi meraviglio che si verifichi qualcosa di cui ''posso'' concepire che ''non'' si verifichi. Mi meraviglio della taglia di questo cane perché posso concepire un cane di una taglia diversa, cioè ordinaria, di cui non mi meraviglierei. Dire “Mi meraviglio che questo e questo si verifichi” ha senso solo se posso immaginare che non si verifichi. In questo senso ci si può meravigliare dell’esistenza, per esempio, di una casa quando la si rivede dopo molto tempo e si era immaginato che intanto essa fosse stata demolita. Ma è insensato dire che mi meraviglio dell’esistenza del mondo, perché non posso immaginare che non esista. Posso certamente meravigliarmi dell’essere il mondo intorno a me così com’è. Se per esempio avessi quest’esperienza mentre guardo un cielo azzurro, potrei meravigliarmi dell’essere il cielo azzurro contrapponendo questo caso a quello in cui è nuvoloso. Ma non è questo che intendo. Mi sto meravigliando dell’essere il cielo ''ciò che è''. Si potrebbe essere tentati di dire che ciò di cui mi sto meravigliando è una tautologia, cioè l’essere il cielo blu o non blu. Ma allora è appunto insensato dire che ci si meraviglia di una tautologia. Lo stesso vale per quell’altra esperienza che ho citato, l’esperienza dell’assoluta sicurezza. Sappiamo tutti cosa significa essere al sicuro nella vita ordinaria. Sono al sicuro nella mia stanza, quando non posso essere investito da un bus. Sono al sicuro se ho avuto la pertosse e dunque non posso prenderla di nuovo. Essere al sicuro vuol dire essenzialmente che è fisicamente impossibile che certe cose mi accadano, e di conseguenza è insensato dire che sono al sicuro ''qualunque cosa'' accada. Questo è un uso improprio della parola “sicuro”, così come l’altro esempio era un uso improprio della parola “esistenza” o “meravigliarsi”.


Ora, ciò che voglio farvi comprendere è che un certo caratteristico uso improprio del nostro linguaggio pervade ''tutte'' le espressioni etiche e religiose. Tutte queste espressioni ''sembrano'', a prima vista, semplici ''similitudini''. Dunque sembra che, quando usiamo la parola “giusto” in un senso etico benché ciò a cui ci riferiamo non sia giusto nel senso triviale della parola, si tratti di qualcosa di simile; e quando diciamo “È un brav’uomo”, anche se la parola “buono” non vuol dire qui ciò che vuol dire nella frase “È un bravo calciatore”, sembra esserci tra i due usi qualche somiglianza. E quando diciamo “La vita di quest’uomo ha valore” non lo intendiamo nello stesso senso in cui parleremmo di qualche gioiello di valore, ma sembra esserci una sorta di analogia. Ora tutti i termini religiosi sembrano, in questo senso, essere usati come similitudini, o allegoricamente. Poiché quando parliamo di Dio e diciamo che vede tutto, e quando ci inginocchiamo e lo preghiamo, tutti i nostri termini e tutte le nostre azioni sembrano essere parte di una grande ed elaborata allegoria che lo rappresenta come un essere umano di grande potenza di cui cerchiamo di guadagnarci la grazia, eccetera eccetera. Ma questa allegoria descrive anche le esperienze a cui mi riferivo poco fa. Poiché la prima è, credo, esattamente ciò a cui si è fatto riferimento quando si è detto che Dio ha creato il mondo; e l’esperienza di assoluta sicurezza è stata descritta dicendo che ci sentiamo al sicuro nelle mani di Dio. Una terza esperienza dello stesso tipo è l’esperienza di sentirsi colpevoli, e di nuovo essa è stata descritta dall’espressione per cui Dio disapprova la nostra condotta.
Ora, ciò che voglio farvi comprendere è che un certo caratteristico uso improprio del nostro linguaggio pervade ''tutte'' le espressioni etiche e religiose. Tutte queste espressioni ''sembrano'', a prima vista, semplici ''similitudini''. Dunque sembra che, quando usiamo la parola “giusto” in un senso etico benché ciò a cui ci riferiamo non sia giusto nel senso triviale della parola, si tratti di qualcosa di simile; e quando diciamo “È un brav’uomo”, anche se la parola “buono” non vuol dire qui ciò che vuol dire nella frase “È un bravo calciatore”, sembra esserci tra i due usi qualche somiglianza. E quando diciamo “La vita di quest’uomo ha valore” non lo intendiamo nello stesso senso in cui parleremmo di qualche gioiello di valore, ma sembra esserci una sorta di analogia. Ora tutti i termini religiosi sembrano, in questo senso, essere usati come similitudini, o allegoricamente. Poiché quando parliamo di Dio e diciamo che vede tutto, e quando ci inginocchiamo e lo preghiamo, tutti i nostri termini e tutte le nostre azioni sembrano essere parte di una grande ed elaborata allegoria che lo rappresenta come un essere umano di grande potenza di cui cerchiamo di guadagnarci la grazia, eccetera eccetera. Ma questa allegoria descrive anche le esperienze a cui mi riferivo poco fa. Poiché la prima è, credo, esattamente ciò a cui si è fatto riferimento quando si è detto che Dio ha creato il mondo; e l’esperienza di assoluta sicurezza è stata descritta dicendo che ci sentiamo al sicuro nelle mani di Dio. Una terza esperienza dello stesso tipo è l’esperienza di sentirsi colpevoli, e di nuovo essa è stata descritta dall’espressione per cui Dio disapprova la nostra condotta.