Note dettate a G.E. Moore in Norvegia: Difference between revisions

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Le cosiddette “proposizioni” logiche ''mostrano'' [le] proprietà logiche del linguaggio e dunque dell’Universo, ma non ''dicono'' nulla. [''Cf.'' 6.12]
Le cosiddette “proposizioni” logiche ''mostrano'' [le] proprietà logiche del linguaggio e dunque dell’Universo, ma non ''dicono'' nulla.<!-- [''Cf.'' 6.12.]-->


Ciò significa che semplicemente osservandole puoi ''vedere'' questi legami veri e propri; invece, in una proposizione vera e propria, non puoi vedere che cos’è vero osservandola.
Ciò significa che semplicemente osservandole puoi ''vedere'' questi legami veri e propri; invece, in una proposizione vera e propria, non puoi vedere che cos’è vero osservandola.
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Ogni ''vera'' proposizione ''mostra'' qualcosa, oltre a ciò che dice, sull’Universo: ''poiché'', se non ha senso, non può essere utilizzata; e se ha senso, rispecchia qualche proprietà logica dell’Universo.
Ogni ''vera'' proposizione ''mostra'' qualcosa, oltre a ciò che dice, sull’Universo: ''poiché'', se non ha senso, non può essere utilizzata; e se ha senso, rispecchia qualche proprietà logica dell’Universo.


Per esempio, prendi ''φ''a, ''φ''a ⊃ ''ψ''a, ''ψ''a. Semplicemente osservando queste tre proposizioni, posso vedere che la 3 segue dalla 1 e dalla 2; cioè posso vedere ciò che si chiama la verità di una proposizione logica, ossia della proposizione ''φ''a . ''φ''a ⊃ ''ψ''a : ⊃ : ''ψ''a. Ma questa ''non'' è una proposizione; vedendo però che si tratta di una tautologia posso vedere ciò che ho già visto osservando le tre proposizioni: la differenza è che ''adesso'' vedo CHE è una tautologia. [''Cfr.'' 6.1221]
Per esempio, prendi ''φ''a, ''φ''a ⊃ ''ψ''a, ''ψ''a. Semplicemente osservando queste tre proposizioni, posso vedere che la 3 segue dalla 1 e dalla 2; cioè posso vedere ciò che si chiama la verità di una proposizione logica, ossia della proposizione ''φ''a . ''φ''a ⊃ ''ψ''a : ⊃ : ''ψ''a. Ma questa ''non'' è una proposizione; vedendo però che si tratta di una tautologia posso vedere ciò che ho già visto osservando le tre proposizioni: la differenza è che ''adesso'' vedo CHE è una tautologia.<!-- [''Cfr.'' 6.1221.]-->


Vogliamo dire, per comprendere [quanto] sopra, quali proprietà deve avere un simbolo per essere una tautologia.
Vogliamo dire, per comprendere [quanto] sopra, quali proprietà deve avere un simbolo per essere una tautologia.
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Un modo consiste nel fornire ''certi simboli''; poi fornire un insieme di regole per combinarli; e poi dire: qualunque simbolo formato con questi simboli, combinati secondo una delle regole date, è una tautologia. Ciò ovviamente dice qualcosa sul tipo di simbolo che puoi ottenere in tale maniera.
Un modo consiste nel fornire ''certi simboli''; poi fornire un insieme di regole per combinarli; e poi dire: qualunque simbolo formato con questi simboli, combinati secondo una delle regole date, è una tautologia. Ciò ovviamente dice qualcosa sul tipo di simbolo che puoi ottenere in tale maniera.


Questa è effettivamente la procedura della ''vecchia'' Logica: ci fornisce delle cosiddette proposizioni primitive; delle cosiddette regole di deduzione; e poi dice che ciò che ottieni applicando le regole alle proposizioni è una proposizione ''logica'' che hai ''dimostrato''. La verità è che essa ti dice qualcosa ''riguardo'' al tipo delle proposizioni che hai ottenuto, cioè che esso può essere derivato dai simboli iniziali per mezzo di queste regole di combinazione (= è una tautologia). [''Cfr.'' 6.1263]
Questa è effettivamente la procedura della ''vecchia'' Logica: ci fornisce delle cosiddette proposizioni primitive; delle cosiddette regole di deduzione; e poi dice che ciò che ottieni applicando le regole alle proposizioni è una proposizione ''logica'' che hai ''dimostrato''. La verità è che essa ti dice qualcosa ''riguardo'' al tipo delle proposizioni che hai ottenuto, cioè che esso può essere derivato dai simboli iniziali per mezzo di queste regole di combinazione (= è una tautologia).<!-- [''Cfr.'' 6.1263.]-->


Le proposizioni logiche ''sono forme di dimostrazione'': mostrano che una o più proposizioni ''seguono'' da una (o più). [''Cfr.'' 6.1264]
Le proposizioni logiche ''sono forme di dimostrazione'': mostrano che una o più proposizioni ''seguono'' da una (o più).<!-- [''Cfr.'' 6.1264]-->


Le proposizioni logiche ''mostrano'' qualcosa, ''perché'' il linguaggio in cui sono espresse può ''dire'' ogni cosa che può essere ''detta''.
Le proposizioni logiche ''mostrano'' qualcosa, ''perché'' il linguaggio in cui sono espresse può ''dire'' ogni cosa che può essere ''detta''.
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1) Prendi ''φ''x. Vogliamo spiegare il significato di «in “''φ''x” una ''cosa'' simbolizza». L’analisi è:
1) Prendi ''φ''x. Vogliamo spiegare il significato di «in “''φ''x” una ''cosa'' simbolizza». L’analisi è:


(∃y) . y simbolizza . y = «x» . «''φ''x»
:(∃y) . y simbolizza . y = «x» . «''φ''x»


[«x» è il nome di y: «''φ''x» =  «“''φ''x” è alla sinistra di “x”» e ''dice'' ''φ''x.]
[«x» è il nome di y: «''φ''x» =  «“''φ''x” è alla sinistra di “x”» e ''dice'' ''φ''x.]
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2) Qui la questione può essere esplicata nel modo seguente. Prendi ''φ''a e ''φ''A: e chiediti che cosa si intende dicendo «c’è una cosa in ''φ''a e un complesso in ''φ''A»?
2) Qui la questione può essere esplicata nel modo seguente. Prendi ''φ''a e ''φ''A: e chiediti che cosa si intende dicendo «c’è una cosa in ''φ''a e un complesso in ''φ''A»?


1) significa: (∃x) . ''φ''x . x = a
:1) significa: (∃x) . ''φ''x . x = a


2) significa: (∃x, ''ψξ'') . ''φ''A = ''ψ''x . ''φ''x.[1]
:2) significa: (∃x, ''ψξ'') . ''φ''A = ''ψ''x . ''φ''x.<!--<ref>''ξ'' è il simbolo di Frege per una ''Argumentstelle'', per mostrare che ''ψ'' è un ''Funktionsbuchstabe''. [''Edd.'']</ref>-->


''Uso di proposizioni logiche''. Puoi trovarne una così complicata da non accorgerti, osservandola, che è una tautologia; ma hai mostrato che può essere derivata con certe operazioni da certe altre proposizioni secondo la nostra regola per la costruzione delle tautologie; e dunque sei in grado di vedere che una cosa segue da un’altra, mentre altrimenti non saresti stato capace di vederlo. Per esempio, se la nostra tautologia è della forma p ⸧ q puoi vedere che q segue da p; e avanti così.
''Uso di proposizioni logiche''. Puoi trovarne una così complicata da non accorgerti, osservandola, che è una tautologia; ma hai mostrato che può essere derivata con certe operazioni da certe altre proposizioni secondo la nostra regola per la costruzione delle tautologie; e dunque sei in grado di vedere che una cosa segue da un’altra, mentre altrimenti non saresti stato capace di vederlo. Per esempio, se la nostra tautologia è della forma p ⸧ q puoi vedere che q segue da p; e avanti così.
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Vogliamo spiegare la relazione delle proposizioni con la realtà.
Vogliamo spiegare la relazione delle proposizioni con la realtà.


La relazione è così: i suoi ''semplici'' hanno significato = sono nomi di semplici; e le sue relazioni hanno una relazione ben diversa con le relazioni; e questi due fatti già stabiliscono una specie di corrispondenza tra una proposizione che contiene questi e soltanto questi e la realtà: per esempio se tutti i semplici di una proposizione sono noti, sappiamo già che POSSIAMO descrivere la realtà dicendo che si ''comporta''[2] in un certo modo nei confronti dell’intera proposizione. (Questo equivale al dire che possiamo ''confrontare'' la realtà con la proposizione. Nel caso di due linee possiamo ''confrontarle'' per quanto riguarda la loro lunghezza senza alcuna convenzione: il confronto è automatico. Ma nel nostro caso la possibilità del confronto dipende dalle convenzioni con cui abbiamo dato ai nostri semplici (nomi e relazioni) i loro significati.)
La relazione è così: i suoi ''semplici'' hanno significato = sono nomi di semplici; e le sue relazioni hanno una relazione ben diversa con le relazioni; e questi due fatti già stabiliscono una specie di corrispondenza tra una proposizione che contiene questi e soltanto questi e la realtà: per esempio se tutti i semplici di una proposizione sono noti, sappiamo già che POSSIAMO descrivere la realtà dicendo che si ''comporta''<!--<ref>Presumibilmente, «verhält sich zu», ossia «è in relazione». [''Edd.'']</ref>--> in un certo modo nei confronti dell’intera proposizione. (Questo equivale al dire che possiamo ''confrontare'' la realtà con la proposizione. Nel caso di due linee possiamo ''confrontarle'' per quanto riguarda la loro lunghezza senza alcuna convenzione: il confronto è automatico. Ma nel nostro caso la possibilità del confronto dipende dalle convenzioni con cui abbiamo dato ai nostri semplici (nomi e relazioni) i loro significati.)


Resta soltanto da aggiustare il metodo di confronto dicendo che ''cosa'' nei nostri semplici deve ''dire'' cosa della realtà. Supponiamo, per esempio, di prendere due linee di lunghezza diversa: e diciamo che il fatto che la più corta ha la lunghezza che ha deve significare che la più lunga ha la lunghezza che ''essa'' ha. Avremmo dovuto allora stabilire riguardo al significato della più corta una convenzione, del genere che adesso dobbiamo fornire.
Resta soltanto da aggiustare il metodo di confronto dicendo che ''cosa'' nei nostri semplici deve ''dire'' cosa della realtà. Supponiamo, per esempio, di prendere due linee di lunghezza diversa: e diciamo che il fatto che la più corta ha la lunghezza che ha deve significare che la più lunga ha la lunghezza che ''essa'' ha. Avremmo dovuto allora stabilire riguardo al significato della più corta una convenzione, del genere che adesso dobbiamo fornire.
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Ne consegue che «vero» e «falso» non sono proprietà accidentali di una proposizione tali che, quando essa ha significato, possiamo dire che è anche vera o falsa: al contrario, che una proposizione ha significato ''significa'' che è vera o falsa: l’essere vera o falsa in effetti costituisce quella relazione della proposizione con la realtà alla quale ci riferiamo dicendo che la proposizione in questione ha significato (''Sinn'').
Ne consegue che «vero» e «falso» non sono proprietà accidentali di una proposizione tali che, quando essa ha significato, possiamo dire che è anche vera o falsa: al contrario, che una proposizione ha significato ''significa'' che è vera o falsa: l’essere vera o falsa in effetti costituisce quella relazione della proposizione con la realtà alla quale ci riferiamo dicendo che la proposizione in questione ha significato (''Sinn'').


A prima vista sembra esserci una certa ambiguità in ciò che si intende dicendo che una proposizione è «vera», per via del fatto che, a quanto sembra, nel caso di proposizioni diverse, il modo in cui esse corrispondono ai fatti a cui corrispondono è molto diverso. Ma ciò che è davvero comune a tutti i casi è che essi devono avere ''la forma generale di una proposizione''. Nel fornire la forma generale di una proposizione spieghi quale tipo di modi di mettere assieme i simboli di cose e di relazioni corrisponderà (sarà analogo) al fatto che le cose abbiano tali relazioni nella realtà. Nel farlo dici ciò che si intende dicendo che una proposizione è vera; e devi farlo una volta per tutte. Dire «questa proposizione ''ha senso''» significa «“questa proposizione è vera” significa…». («p» è vero = «p» . p. Def. : solo invece di «p» dobbiamo qui introdurre la forma generale di una proposizione).[3]
A prima vista sembra esserci una certa ambiguità in ciò che si intende dicendo che una proposizione è «vera», per via del fatto che, a quanto sembra, nel caso di proposizioni diverse, il modo in cui esse corrispondono ai fatti a cui corrispondono è molto diverso. Ma ciò che è davvero comune a tutti i casi è che essi devono avere ''la forma generale di una proposizione''. Nel fornire la forma generale di una proposizione spieghi quale tipo di modi di mettere assieme i simboli di cose e di relazioni corrisponderà (sarà analogo) al fatto che le cose abbiano tali relazioni nella realtà. Nel farlo dici ciò che si intende dicendo che una proposizione è vera; e devi farlo una volta per tutte. Dire «questa proposizione ''ha senso''» significa «“questa proposizione è vera” significa…». («p» è vero = «p» . p. Def. : solo invece di «p» dobbiamo qui introdurre la forma generale di una proposizione).<!--<ref>Il lettore dovrebbe ricordare che secondo Wittgenstein «“p”» non è un nome ma una descrizione del fatto che costituisce la proposizione. Vedi sopra, p. 109. [''Edd.'']</ref>-->


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A prima vista sembra che la notazione ab debba essere sbagliata, perché pare trattare il vero e il falso esattamente allo stesso livello. Dev’essere possibile vedere dai simboli stessi che c’è una differenza essenziale tra i poli, se la notazione dev’essere giusta; e pare che di fatto ciò sia impossibile.
A prima vista sembra che la notazione ab debba essere sbagliata, perché pare trattare il vero e il falso esattamente allo stesso livello. Dev’essere possibile vedere dai simboli stessi che c’è una differenza essenziale tra i poli, se la notazione dev’essere giusta; e pare che di fatto ciò sia impossibile.
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''Le proposizioni logiche,'' NATURALMENTE, mostrano tutte qualcosa di diverso: tutte mostrano ''nello stesso modo'', ossia per il fatto che sono tautologie, ma sono tautologie diverse e dunque mostrano ognuna qualcosa di diverso.
''Le proposizioni logiche,'' NATURALMENTE, mostrano tutte qualcosa di diverso: tutte mostrano ''nello stesso modo'', ossia per il fatto che sono tautologie, ma sono tautologie diverse e dunque mostrano ognuna qualcosa di diverso.


Ciò che non è arbitrario nei nostri simboli non sono i simboli stessi, né le regole che forniamo; ma il fatto che, avendo dato certe regole, altre sono fissate = seguono logicamente. [''Cfr.'' 3.342]
Ciò che non è arbitrario nei nostri simboli non sono i simboli stessi, né le regole che forniamo; ma il fatto che, avendo dato certe regole, altre sono fissate = seguono logicamente.<!-- [''Cfr.'' 3.342.]-->


Quindi, anche se sarebbe possibile interpretare la forma che prendiamo per la forma di una tautologia come invece la forma di una contraddizione, e viceversa, esse ''sono'' diverse nella forma logica perché, nonostante la forma apparente dei simboli sia la stessa, ciò che in essi ''simbolizza'' è diverso, e dunque ciò che riguardo ai simboli consegue da un’interpretazione sarà diverso da ciò che consegue dall’altra. Ma la differenza tra a e b ''non'' è una differenza nella forma logica, cosicché da questa differenza soltanto non seguirà nulla per quanto riguarda l’interpretazione di altri simboli. Dunque, per esempio, i simboli p . q, p ∨ q sembrano avere esattamente la ''stessa'' forma logica nella notazione ab. Eppure, dicono qualcosa di completamente diverso; e, se ti chiedi perché, la risposta pare essere: in un caso il frego in cima ha la forma b, nell’altro caso ha la forma a. Mentre l’interpretazione di una tautologia come una tautologia è un’interpretazione di una ''forma logica'', non l’elargizione di un significato a un frego dalla forma particolare. La cosa importante è che l’interpretazione della forma del simbolismo deve essere fissata fornendo un’interpretazione alle sue ''proprietà logiche'', ''non'' fornendo interpretazioni a particolari freghi.
Quindi, anche se sarebbe possibile interpretare la forma che prendiamo per la forma di una tautologia come invece la forma di una contraddizione, e viceversa, esse ''sono'' diverse nella forma logica perché, nonostante la forma apparente dei simboli sia la stessa, ciò che in essi ''simbolizza'' è diverso, e dunque ciò che riguardo ai simboli consegue da un’interpretazione sarà diverso da ciò che consegue dall’altra. Ma la differenza tra a e b ''non'' è una differenza nella forma logica, cosicché da questa differenza soltanto non seguirà nulla per quanto riguarda l’interpretazione di altri simboli. Dunque, per esempio, i simboli p . q, p ∨ q sembrano avere esattamente la ''stessa'' forma logica nella notazione ab. Eppure, dicono qualcosa di completamente diverso; e, se ti chiedi perché, la risposta pare essere: in un caso il frego in cima ha la forma b, nell’altro caso ha la forma a. Mentre l’interpretazione di una tautologia come una tautologia è un’interpretazione di una ''forma logica'', non l’elargizione di un significato a un frego dalla forma particolare. La cosa importante è che l’interpretazione della forma del simbolismo deve essere fissata fornendo un’interpretazione alle sue ''proprietà logiche'', ''non'' fornendo interpretazioni a particolari freghi.
Line 134: Line 135:
p è falso = ~(p è vero) Def.
p è falso = ~(p è vero) Def.


È molto importante che le relazioni logiche apparenti ∨, ⸧, etc. necessitino di parentesi, punti, etc., ovverosia che abbiano «raggi d’azione»; ciò basta a mostrare che esse non sono relazioni. Questo fatto è stato trascurato proprio per la sua universalità – che è proprio ciò che lo rende tanto importante. [''Cfr.'' 5.461]
È molto importante che le relazioni logiche apparenti ∨, ⸧, etc. necessitino di parentesi, punti, etc., ovverosia che abbiano «raggi d’azione»; ciò basta a mostrare che esse non sono relazioni. Questo fatto è stato trascurato proprio per la sua universalità – che è proprio ciò che lo rende tanto importante.<!-- [''Cfr.'' 5.461.]-->


Ci sono relazioni ''interne'' tra una proposizione e un’altra; ma una proposizione non può avere con un’altra ''la'' relazione interna che un ''nome'' ha con la proposizione di cui è un costituente, e che dovrebbe essere intesa dicendo che esso «figura» in essa. In questo senso una proposizione non può «figurare» in un’altra.
Ci sono relazioni ''interne'' tra una proposizione e un’altra; ma una proposizione non può avere con un’altra ''la'' relazione interna che un ''nome'' ha con la proposizione di cui è un costituente, e che dovrebbe essere intesa dicendo che esso «figura» in essa. In questo senso una proposizione non può «figurare» in un’altra.
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È possibile vedere che la proposizione (∃x) . ''φ''x . x = a : ≡ : ''φ''a è una tautologia se si esprimono le ''condizioni'' della verità di (∃x) . ''φ''x . x = a, in successione, per esempio dicendo: ciò è vero ''se'' questo e questo; e ciò a suo volta è vero ''se'' questo e questo, etc., per (∃x) . ''φ''x . x = a; e poi anche per ''φ''a. Esprimere la questione in tal modo comporta di per sé una notazione gravosa, di cui la notazione ab è una traduzione più elegante.
È possibile vedere che la proposizione (∃x) . ''φ''x . x = a : ≡ : ''φ''a è una tautologia se si esprimono le ''condizioni'' della verità di (∃x) . ''φ''x . x = a, in successione, per esempio dicendo: ciò è vero ''se'' questo e questo; e ciò a suo volta è vero ''se'' questo e questo, etc., per (∃x) . ''φ''x . x = a; e poi anche per ''φ''a. Esprimere la questione in tal modo comporta di per sé una notazione gravosa, di cui la notazione ab è una traduzione più elegante.


Ciò che simbolizza in un simbolo è ciò che è comune a tutti i simboli con cui, in accordo con le regole della logica = regole sintattiche per la manipolazione dei simboli, lo si potrebbe sostituire. [''Cfr''. 3.344]
Ciò che simbolizza in un simbolo è ciò che è comune a tutti i simboli con cui, in accordo con le regole della logica = regole sintattiche per la manipolazione dei simboli, lo si potrebbe sostituire.<!-- [''Cfr''. 3.344.]-->


La domanda se una proposizione ha senso (''Sinn'') non può mai dipendere dalla ''verità'' di un’altra proposizione che verte su un costituente della prima. Per esempio, la domanda se (x) x = x ha significato (''Sinn'') non può dipendere dalla domanda se (∃x) x = x è ''vera''. Non descrive affatto la realtà, e ha a che fare quindi soltanto con simboli; e dice che essi devono ''simbolizzare'', ma non ''che cosa'' simbolizzano.
La domanda se una proposizione ha senso (''Sinn'') non può mai dipendere dalla ''verità'' di un’altra proposizione che verte su un costituente della prima. Per esempio, la domanda se (x) x = x ha significato (''Sinn'') non può dipendere dalla domanda se (∃x) x = x è ''vera''. Non descrive affatto la realtà, e ha a che fare quindi soltanto con simboli; e dice che essi devono ''simbolizzare'', ma non ''che cosa'' simbolizzano.
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È molto importante rendersi conto che il fatto di avere due relazioni diverse (a,b)R, (cd)S ''non'' stabilisce una correlazione tra a e c, e b e d, oppure tra a e d, e b e c: non viene stabilita proprio nessuna correlazione. Naturalmente, nel caso di due coppie di termini uniti dalla ''stessa'' relazione, una correlazione c’è. Questo mostra che la teoria secondo cui un fatto relazionale conterrebbe i termini e le relazioni uniti da una ''copula'' (ε<sub>2</sub>) non è vera; se fosse vera, infatti, dovrebbe esserci una corrispondenza tra i termini di diverse relazioni.
È molto importante rendersi conto che il fatto di avere due relazioni diverse (a,b)R, (cd)S ''non'' stabilisce una correlazione tra a e c, e b e d, oppure tra a e d, e b e c: non viene stabilita proprio nessuna correlazione. Naturalmente, nel caso di due coppie di termini uniti dalla ''stessa'' relazione, una correlazione c’è. Questo mostra che la teoria secondo cui un fatto relazionale conterrebbe i termini e le relazioni uniti da una ''copula'' (ε<sub>2</sub>) non è vera; se fosse vera, infatti, dovrebbe esserci una corrispondenza tra i termini di diverse relazioni.


Sorge la domanda: come può una proposizione (o funzione) figurare in un’altra proposizione? La proposizione o funzione stessa non potrà mai stare in relazione con gli altri simboli. Perciò dobbiamo introdurre immediatamente funzioni e nomi nella nostra forma generale di una proposizione; spiegando cosa si intende dando significato al fatto che i nomi stanno tra i |,[4] e che la funzione sta a sinistra dei nomi.
Sorge la domanda: come può una proposizione (o funzione) figurare in un’altra proposizione? La proposizione o funzione stessa non potrà mai stare in relazione con gli altri simboli. Perciò dobbiamo introdurre immediatamente funzioni e nomi nella nostra forma generale di una proposizione; spiegando cosa si intende dando significato al fatto che i nomi stanno tra i |,<!--<ref>Forse «tra gli operatori di Sheffer». [''Edd.'']</ref>--> e che la funzione sta a sinistra dei nomi.


È vero, in un certo senso, che le proposizioni logiche sono «postulati» – qualcosa che «richiediamo»; perché ''richiediamo'' una notazione soddisfacente. [''Cfr.'' 6.1223].
È vero, in un certo senso, che le proposizioni logiche sono «postulati» – qualcosa che «richiediamo»; perché ''richiediamo'' una notazione soddisfacente.<!-- [''Cfr.'' 6.1223.]-->


Una tautologia (''non'' una proposizione logica) non è priva di senso nella stessa maniera in cui, per esempio, lo è una proposizione in cui figurano parole che non hanno significato. Ciò che accade nella tautologia è che tutte le sue parti semplici hanno significato, ma le loro connessioni si paralizzano o distruggono a vicenda, in modo tale che risultano tutte connesse soltanto in maniera irrilevante.
Una tautologia (''non'' una proposizione logica) non è priva di senso nella stessa maniera in cui, per esempio, lo è una proposizione in cui figurano parole che non hanno significato. Ciò che accade nella tautologia è che tutte le sue parti semplici hanno significato, ma le loro connessioni si paralizzano o distruggono a vicenda, in modo tale che risultano tutte connesse soltanto in maniera irrilevante.


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Le funzioni logiche si presuppongono tutte a vicenda. Proprio come possiamo vedere che ~p non ha senso, se neanche p ce l’ha; così possiamo anche dire che p non ha senso se non ha senso ~p. La questione è ben diversa con ''φ''a e a; poiché qui a ha un significato indipendente da ''φ''a, anche se ''φ''a lo presuppone.
Le funzioni logiche si presuppongono tutte a vicenda. Proprio come possiamo vedere che ~p non ha senso, se neanche p ce l’ha; così possiamo anche dire che p non ha senso se non ha senso ~p. La questione è ben diversa con ''φ''a e a; poiché qui a ha un significato indipendente da ''φ''a, anche se ''φ''a lo presuppone.
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La relazione tra «io credo p» e «p» può essere confrontata con la relazione tra «“p” dice (besagt) p» e p: il fatto che ''io'' sia un semplice è tanto impossibile quanto il fatto che lo sia «p».
La relazione tra «io credo p» e «p» può essere confrontata con la relazione tra «“p” dice (besagt) p» e p: il fatto che ''io'' sia un semplice è tanto impossibile quanto il fatto che lo sia «p».
----[1] ''ξ'' è il simbolo di Frege per una ''Argumentstelle'', per mostrare che ''ψ'' è un ''Funktionsbuchstabe''. [''Edd.'']
[2] Presumibilmente, «verhält sich zu», ossia «è in relazione» [''Edd.'']
[3]  Il lettore dovrebbe ricordare che secondo Wittgenstein «“p”» non è un nome ma una descrizione del fatto che costituisce la proposizione. Vedi sopra, p. 109. [''Edd.'']
[4] Forse «tra gli operatori di Sheffer.» [''Edd.'']