Tractatus logico-philosophicus (italiano): Difference between revisions

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Se ''p'' segue da ''q'', la proposizione «''q''» dà alla proposizione «''p''» la probabilità 1. La certezza dell'inferenza logica è un caso limite della probabilità.
Se ''p'' segue da ''q'', la proposizione «''q''» dà alla proposizione «''p''» la probabilità 1. La certezza dell'inferenza logica è un caso limite della probabilità.


(Applicazione alla tautologia e alla contraddizione.)<references />
(Applicazione alla tautologia e alla contraddizione.)
 
5.153Una proposizione non è in sé né probabile né improbabile. Un evento capita o non capita, non vi è una via di mezzo.
 
5.154In un'urna vi siano altrettante palle bianche e nere (e nessun'altra). Estraggo una palla dopo l'altra e le rimetto di nuovo nell'urna. In tal modo posso stabilire sperimentalmente che i numeri delle palle nere e bianche estratte si avvicinano l'uno all'altro man mano che continuo con le estrazioni.
 
Quindi ''questo'' non è un dato di fatto matematico.
 
Se ora dico: è altrettanto probabile che io estragga una palla bianca o una nera, questo vuol dire: tutte le circostanze che mi sono note (incluse le leggi naturali assunte ipoteticamente) non danno al capitare dell'un evento più probabilità che al capitare dell'altro. Il che vuol dire che danno a ciascuno – come si comprende facilmente dalle spiegazioni date sopra – la probabilità ½.
 
Ciò che confermo sperimentalmente è che il capitare dei due eventi è indipendente dalle circostanze, per quanto le conosco.
 
5.155L'unità della proposizione della probabilità è: le circostanze – nella misura in cui le conosco – danno al capitare di un determinato evento questo e questo grado di probabilità.
 
5.156Quindi la probabilità è una generalizzazione.
 
Essa comporta una descrizione generale di una forma proposizionale.
 
Solo in mancanza della certezza usiamo la probabilità. – Se non conosciamo perfettamente un fatto, ma pur sappiamo ''qualcosa'' sulla sua forma.
 
(Una proposizione può essere un'immagine imperfetta di un certo stato di cose, ma è sempre ''una'' immagine perfetta.)
 
La proposizione della probabilità è per così dire un estratto da altre proposizioni.
 
5.2Le strutture delle proposizioni stanno in relazioni interne l'una con l'altra.
 
5.21Possiamo far emergere queste relazioni interne nel nostro modo di espressione presentando una proposizione come risultato di un'operazione che fa risultare quella proposizione da altre proposizioni (dalle basi dell'operazione).
 
5.22L'operazione è l'espressione di una relazione tra le strutture del suo risultato e delle sue basi.
 
5.23L'operazione è ciò che deve succedere all'una proposizione per ottenerne l’altra.
 
5.231E questo dipenderà naturalmente dalle loro proprietà formali, dalla somiglianza interna delle loro forme.
 
5.232La relazione interna che ordina una serie è equivalente all'operazione attraverso la quale un termine risulta dall'altro.
 
5.233L'operazione può comparire solo là dove una proposizione risulta in modo logicamente dotato di significato da un'altra. Quindi là dove comincia la costruzione logica della proposizione.
 
5.234Le funzioni di verità delle proposizioni elementari sono risultati di operazioni che hanno le proposizioni elementari come basi. (Chiamo queste operazioni operazioni di verità.)
 
5.2341Il senso di una funzione di verità di ''p'' è una funzione del senso di ''p''.
 
Negazione, addizione logica, moltiplicazione logica ecc. ecc. sono operazioni.
 
(La negazione inverte il senso della proposizione.)
 
5.24L'operazione si mostra in una variabile; essa mostra come si può passare da una forma di proposizioni a un'altra.
 
Essa porta a espressione la differenza delle forme.
 
(E ciò che è in comune tra le basi e il risultato dell'operazione sono appunto le basi.)
 
5.241L'operazione non caratterizza alcuna forma, ma solo la differenza delle forme.
 
5.242La stessa operazione che ottiene «''q''» da «''p''» ottiene da «''q''» «''r''» e così di seguito. Questo può esprimersi solo in questo: che «''p''», «''q''», «''r''» sono variabili che portano a espressione generale certe relazioni formali.
 
5.25Il comparire dell'operazione non caratterizza il senso della proposizione.
 
L'operazione in effetti non enuncia niente, solo il proprio risultato, e questo dipende dalle basi dell'operazione.
 
(Operazione e funzione non possono essere scambiate l'una con l'altra.)
 
5.251Una funzione non può essere il proprio stesso argomento, ma il risultato di un'operazione può ben diventare la sua base.
 
5.252Solo così è possibile il passaggio da termine a termine in una serie formale (da tipo a tipo nelle gerarchie di Russell e Whitehead). (Russell e Whitehead non hanno ammesso la possibilità di questo passaggio, ma ne hanno più e più volte fatto uso.)
 
5.2521Chiamo l'applicazione ripetuta di un'operazione al suo proprio risultato la sua applicazione successiva («O' O' O' ''a''» è il risultato della applicazione successiva, per tre volte, di «O' ξ» ad «''a''»).
 
In un senso simile parlo dell'applicazione successiva di ''più'' operazioni a un certo numero di proposizioni.
 
5.2522Scrivo quindi il termine generale di una serie formale ''a'', O' ''a'', O' O' ''a'', … così: «[''a'', ''x'', O' ''x'']». Questa espressione tra parentesi è una variabile. Il primo termine dell'espressione tra parentesi è l'inizio della serie formale, il secondo la forma di un termine a piacere ''x'' della serie e il terzo la forma di quel termine della serie che segue immediatamente ''x''.
 
5.2523Il concetto dell'applicazione successiva dell'operazione è equivalente al concetto «e così via».
 
5.253Un'operazione può annullare l'effetto di un'altra. Le operazioni possono cancellarsi l'un l'altra.
 
5.254L'operazione può scomparire (ad es. la negazione in «~~''p''», ~~''p'' = ''p'').
 
5.3Tutte le proposizioni sono risultati di operazioni di verità con le proposizioni elementari.
 
L'operazione di verità è il modo in cui dalle proposizioni elementari risulta la funzione di verità.
 
Secondo l'essenza dell'operazione di verità, allo stesso modo in cui dalle proposizioni elementari risulta la loro funzione di verità, dalle funzioni di verità risulta una nuova funzione di verità. Ogni operazione di verità genera, da funzioni di verità di proposizioni elementari, di nuovo una funzione di verità di proposizioni elementari, una proposizione. Il risultato di ogni operazione di verità con i risultati di operazioni di verità con proposizioni elementari è di nuovo il risultato di ''una'' operazione di verità con proposizioni elementari.
 
Ogni proposizione è il risultato di operazioni di verità con proposizioni elementari.
 
5.31Gli schemi al n. [[#4.31|4.31]] hanno quindi un significato anche se «''p''», «''q''», «''r''», ecc. non sono proposizioni elementari.
 
Ed è facile vedere che il segno proposizionale al n. [[#4.442|4.442]] esprime una funzione di verità di proposizioni elementari anche se «''p''» e «''q''» sono funzioni di verità di proposizioni elementari.
 
5.32Tutte le funzioni di verità sono risultati dell'applicazione successiva di un numero finito di operazioni di verità alle proposizioni elementari.
 
5.4Qui si mostra che non vi sono «oggetti logici», «costanti logiche» (nel senso di Frege e di Russell).
 
5.41Infatti tutti i risultati di operazioni di verità con funzioni di verità che sono una e la stessa funzione di verità di proposizioni elementari sono identici.
 
5.42È evidente che ∨, ⊃, ecc. non sono relazioni nel senso di destra e sinistra ecc.
 
La possibilità di definire i «segni primitivi» logici di Frege e di Russell l'uno con riferimento all'altro mostra già che questi non sono segni primitivi e, a maggior ragione, che essi non designano alcuna relazione.
 
Ed è evidente che il «⊃» che noi definiamo mediante «~» e «∨» è identico a quello mediante il quale e mediante «~» definiamo «∨»; e che questo «∨» è identico al primo. E così via.
 
5.43Che da un fatto ''p'' debbano seguirne infiniti ''altri'', cioè ~~''p''<nowiki>, ~~~~</nowiki>''p,'' ecc., è, già a prima vista, difficile a credersi. E non è meno degno di nota che le infinite proposizioni della logica (della matematica) seguano da una mezza dozzina di «leggi fondamentali».
 
Ma tutte le proposizioni della logica dicono lo stesso – cioè niente.
 
5.44Le funzioni di verità non sono funzioni materiali.
 
Se ad es. si può generare un'affermazione mediante una doppia negazione, allora la negazione è – in qualche senso – contenuta nell'affermazione? «~~''p''» nega ~''p'' o afferma ''p''? O fa entrambe le cose?
 
La proposizione «~~''p''» non tratta della negazione come di un oggetto; ma la possibilità della negazione è già implicata nell'affermazione.
 
E se vi fosse un oggetto chiamato «~», «~~''p''» dovrebbe dire qualcosa di diverso da «''p''». Poiché l'una proposizione tratterebbe appunto di ~, l'altra no.
 
5.441Questo scomparire delle costanti logiche apparenti entra in scena anche nel momento in cui «(∃''x'') . ~''f'' ''x''» dice lo stesso che «(''x'') . ''f x»'', o «(∃''x'') . ''f'' ''x'' . ''x'' = ''a''» lo stesso che «''f'' ''a»''.
 
5.442Se ci è data una proposizione, ''con essa'' ci sono già dati anche i risultati di tutte le operazioni di verità che hanno quella proposizione come base.
 
5.45Se vi sono segni logici primitivi, una logica corretta deve render chiara la loro posizione reciproca e giustificare la loro esistenza. Deve divenire chiara la costruzione della logica ''a partire dai'' suoi segni primitivi.
 
5.451Se la logica ha concetti fondamentali, essi devono essere indipendenti gli uni dagli altri. Se viene introdotto un concetto fondamentale, esso dev'essere introdotto in tutte le connessioni in cui compare. Non si può quindi introdurlo dapprima per ''una'' connessione, poi di nuovo per un'altra. Ad es.: una volta introdotta la negazione, dobbiamo comprenderla tanto in proposizioni della forma «~''p''» quanto in proposizioni come «~(''p'' ∨ ''q'')», «(∃''x'') . ~''f'' ''x'' ecc. Non possiamo introdurla prima per l'una classe di casi, poi per l'altra, poiché allora rimarrebbe dubbio se il suo significato sia lo stesso nei due casi e non vi sarebbe alcun motivo per usare nei due casi la stessa modalità di connessione dei segni.
 
(In breve, per l'introduzione dei segni primitivi vale, ''mutatis mutandis'', lo stesso che Frege (nei ''Grundgesetze der Arithmetik'') ha detto per l'introduzione di segni mediante definizioni.)
 
5.452L'introduzione di un nuovo espediente nel simbolismo della logica deve sempre essere un evento gravido di conseguenze. Nessun nuovo espediente può essere introdotto nella logica – per così dire, con aria del tutto innocente – tra parentesi o a margine.
 
(Così nei ''Principia Mathematica'' di Russell e Whitehead compaiono definizioni e leggi fondamentali espresse a parole. Perché qui improvvisamente parole? Questo richiederebbe una giustificazione. Essa manca e deve mancare; poiché il procedimento, di fatto, non è consentito.)
 
Se però l'introduzione di un nuovo espediente in una certa posizione si è dimostrata necessaria, ci si deve subito chiedere: dove, allora, questo espediente dev'essere ''sempre'' applicato? Adesso bisogna spiegare la sua posizione nella logica.
 
5.453Tutti i numeri della logica devono poter essere giustificati.
 
O piuttosto: deve rendersi chiaro che nella logica non vi sono numeri.
 
Non vi sono numeri speciali.
 
5.454Nella logica non vi è alcuna giustapposizione, non può esservi alcuna classificazione.
 
Nella logica non può esservi niente di più generale o di più particolare.
 
5.4541Le soluzioni dei problemi logici devono essere semplici, poiché esse stabiliscono lo standard della semplicità.
 
Gli uomini hanno sempre avuto il sentimento che debba esservi un ambito di domande le cui risposte sono – a priori – unite simmetricamente, secondo una struttura chiusa e regolare.
 
Un ambito nel quale vale la sentenza: ''simplex sigillum veri''.
 
5.46Se si introducessero i segni logici correttamente, si sarebbe già introdotto con ciò anche il senso di tutte le loro combinazioni; quindi non solo «''p'' ∨ ''q''», ma anche «~(''p'' ∨ ~''q'')» ecc. ecc. Si sarebbe già introdotto con ciò anche l'effetto di tutte le possibili combinazioni di parentesi. E con ciò sarebbe divenuto chiaro che i veri e propri segni primitivi generali non sono i «''p'' ∨ ''q''», «(∃''x'') . ''f'' ''x''» ecc., bensì la forma più generale delle loro combinazioni.
 
5.461È significativo il fatto apparentemente irrilevante che le pseudo-relazioni logiche, come ∨ e ⊃, hanno bisogno delle parentesi – al contrario delle relazioni reali.
 
L'uso delle parentesi con questi segni primitivi apparenti indica già che questi non sono i segni primitivi reali. E certo nessuno crederà che le parentesi abbiano un significato autonomo.
 
5.4611I segni logici di operazione sono punteggiatura.
 
5.47È chiaro che ciò che può essere detto ''fin dal principio'' sulla forma di tutte le proposizioni deve poter essere detto ''tutto in una volta''.
 
Nella proposizione elementare sono già contenute tutte le operazioni logiche. Poiché «''f'' ''a''» dice lo stesso che «(∃''x'') . ''f'' ''x'' . ''x'' = ''a''».
 
Dov'è composizione sono anche argomento e funzione, e dove sono questi sono già tutte le costanti logiche.
 
Si potrebbe dire: l'unica costante logica è ciò che ''tutte'' le proposizioni, per loro natura, hanno in comune l'una con l'altra.
 
Ma questa è la forma generale della proposizione.
 
5.471La forma generale della proposizione è l'essenza della proposizione.
 
5.4711Indicare l'essenza della proposizione vuol dire indicare l'essenza di ogni descrizione, e quindi l'essenza del mondo.
 
5.472La descrizione della forma più generale della proposizione è la descrizione dell'uno e unico segno primitivo generale della logica.
 
5.473La logica deve badare a se stessa.
 
Un segno ''possibile'' deve anche poter designare. Tutto ciò che nella logica è possibile è anche lecito. («Socrate è identico» non vuol dire niente perché non vi è alcuna proprietà che si chiama «identico». La proposizione è insensata perché non abbiamo stabilito una determinazione arbitraria, ma non perché il simbolo sarebbe illegittimo in sé e per sé.)
 
In un certo senso, nella logica non possiamo sbagliarci.
 
5.4731L'autoevidenza di cui Russell ha parlato tanto può diventare superflua in logica solo nella misura in cui il linguaggio stesso impedisce ogni errore logico. – L'essere la logica a priori consiste nell'essere ''impossibile'' pensare illogicamente.
 
5.4732Non possiamo dare a un segno il senso sbagliato.
 
5.47321Il rasoio di Occam non è naturalmente una regola arbitraria o giustificata dal suo successo pratico: esso dice che unità segniche ''non necessarie'' non significano niente.
 
Segni che realizzano ''uno'' scopo sono logicamente equivalenti; segni che ''non'' realizzano ''alcuno'' scopo sono logicamente privi di significato.
 
5.4733Frege dice: ogni proposizione costruita legittimamente deve avere un senso; e io dico: ogni proposizione possibile è costruita legittimamente, e se non ha senso ciò può dipendere solo dal non aver noi dato alcun ''significato'' a qualcuno dei suoi elementi costitutivi.
 
(Anche se crediamo di averlo fatto.)
 
Quindi «Socrate è identico» non dice niente perché alla parola «identico» ''non'' abbiamo dato ''alcun'' significato come ''aggettivo''. Infatti, quando funziona come segno d'identità, questa parola simbolizza in modo del tutto diverso – la relazione di designazione è un'altra – così che anche il simbolo è del tutto diverso nei due casi; i due simboli hanno in comune solo il segno, per caso.
 
5.474Il numero delle operazioni fondamentali necessarie dipende ''solo'' dalla nostra notazione.
 
5.475È solo questione di costruire un sistema di segni con un determinato numero di dimensioni – con una determinata molteplicità matematica.
 
5.476È chiaro che qui non si tratta di un ''novero di concetti fondamentali'' che devono essere designati, ma dell'espressione di una regola.<references />